
L’Australia sta applicando le misure di quarantena nelle comunità aborigene per paura che il coronavirus possa diffondersi dove mancano le strutture sanitarie adeguate.
Lajamanu si trova ai confini del deserto Tanami nello stato del Territorio del Nord in Australia ed è casa della popolazione indigena Warlpiri, una delle comunità più remote della nazione; adesso, a causa del COVID-19, l’isolamento è destinato ad aumentare. La riserva si trova a 11 ore di macchina da Darwin e l’ unica strada che le collega è stata chiusa, separando le 600 persone che vi abitano dal resto del mondo.
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“Il governo ha inviato degli operatori sanitari a Lajamanu per spiegare la situazione del virus e ci sono dottori che ormai vivono nella comunità da un paio di anni. Tuttavia le persone sono ancora spaventate e la comunità ora è chiusa quindi nessuno può entrare e uscire” ha spiegato Steve Jampijinpa Patric, uno degli anziani della comunità. I servizi continuano ad essere attivi ma la vita sociale è stata sospesa: il centro artistico, uno dei centri più importanti nella comunità, è stato chiuso, come il programma giovanile. “Molte persone, in particolare le signore anziane, sono molto tristi a causa della chiusura perché è qui che si incontrano ogni giorno. Ma sappiamo che è stato chiuso a causa del virus”. Con oltre 6,000 casi confermati e 51 decessi, l’Australia sta cercando di contenere la diffusione del coronavirus. Il governo ha messo il paese in “stato di guerra”, vietando i voli dall’estero e limitando gli spostamenti all’interno del paese. Tuttavia si teme per l’impatto che potrebbe avere la malattia sulla popolazione indigena. Gli indigeni, che rappresentano il 3% della popolazione, sono sotto la media nazionale in termini di aspettative di vita. Secondo un recente rapporto del governo, coloro che vivono in comunità remote o molto remote hanno una durata della vita più breve rispetto alle persone che vivono nelle aree urbane.
Media Release Minister @KenWyattMP: Securing the essentials for remote communities https://t.co/fd8CGknRRO pic.twitter.com/3LACQjRe71
— indigenous_gov (@indigenous_gov) April 7, 2020
Queste cifre sono significative, poiché le statistiche del censimento più recenti indicano che circa il 20% degli aborigeni in Australia vive in aree remote, alcune delle quali sono estremamente isolate e hanno un accesso limitato ai servizi sanitari. Per alcuni di loro l’ospedale più vicino è a oltre 100 km secondo il Dr. Jason Agostino, consigliere medico della National Aboriginal Community Controlled Health Organisation: “Mentre alcuni residenti delle comunità più remote comunque possono accedere alle strutture sanitarie, il problema del COVID-19 è che servono ricoveri e ventilatori. Le persone con problemi respiratori hanno bisogno di essere ricoverate immediatamente”. Secondo Agostino inoltre nelle comunità non ci sono edifici in cui isolarsi in caso si contragga il virus: senza di questi, l’infezione potrebbe diffondersi rapidamente. “Molte comunità hanno dei piani di evacuazione o per isolare i contagiati. Tuttavia non ci sono dei piani a livello nazionale per supportare queste comunità. Le cliniche remote hanno uno staff ridotto. Il rischio è che lo staff non sia adeguato in caso il virus si diffonda nella comunità”.
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Le restrizioni sugli spostamenti sono comunque una parte della strategia di contenimento. In risposta alla pandemia di fine marzo, il Territorio del Nord, il Queensland e l’Australia Meridionale hanno ridotto gli spostamenti verso le comunità indigene. Il governo dell’Australia Occidentale ha preso ulteriori provvedimenti, chiudendo lo stato ai residenti degli altri stati federali e regolando gli spostamenti anche all’interno dello stato, con la regione Kimberley chiusa agli esterni; queste misure straordinarie coprono un terzo dell’area dello Stato. “Non possiamo correre rischi qui. I residenti di Kimberley che vivono in comunità aborigene remote sono particolarmente vulnerabili al COVID-19 e devono essere protetti“, ha dichiarato il premier Mark McGowan. Nonostante queste precauzioni comunque si teme per la presenza di lavoratori esterni vicino le comunità indigene. L’economia della regione si basa sull’estrazione di risorse e in alcuni casi coinvolge lavoratori “pendolari”, che partono dalle aree più popolose del paese per andare a lavorare in siti vicino le comunità indigene.
The number of new cases in Western Australia continues to be very encouraging, and shows that the measures we have taken so far are starting to have a positive impact.
But we cannot afford to take our foot off the pedal. pic.twitter.com/85HINf8a75
— Mark McGowan (@MarkMcGowanMP) April 2, 2020
Il colosso dell’energia giapponese Inpex ha confermato che uno dei suoi lavoratori nella regione è risultato positivo al coronavirus e questo ha portato all’istituzione della quarantena nella città di Broome; il governo ha vietato l’accesso ai lavoratori proveniente dagli altri stati ma rimangono attivi i voli per i lavoratori essenziali. Anche il Queensland ha annunciato un divieto simile per i pendolari. “Il Queensland non ha casi nelle comunità più remote e restringendo gli spostamenti nello stato vogliamo limitare la possibilità di contagio” ha spiegato il ministro Anthony Lynham. La compagnia energetica Origin Energy ha annunciato lo stop delle sue operazioni minerarie nell’Australia centrale a causa dell’impossibilità di rispettare le misure di distanziamento sociale.
Tuttavia, in attesa che la pandemia raggiunga il suo picco, bisognerà vedere se le misure prese dalle compagnie private e dal governo serviranno a proteggere le comunità indigene.