Olio d’oliva vergine e non extravergine. Non è un rischio per la salute dei consumatori ma sicuramente delle loro tasche. Nel nuovo test di questo mese della rivista Il Salvagente, 7 oli su 15 non hanno superato la prova: non è extravergine!
Non è extravergine. È questo il verdetto del panel test eseguito dal comitato di assaggio del Laboratorio chimico dell’Agenzia delle Dogane e dei monopoli di Roma su 7 campioni di olio che, alla prova organolettica, hanno riportato dei difetti e pertanto sono risultati appartenere alla categoria degli oli di oliva vergini. Una bocciatura che non rappresenta un rischio di salute per il consumatore ma di certo un problema per le sue tasche: acquistare un extravergine significa pagare un 30-40% in più di un semplice vergine.
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Nel nuovo numero del Salvagente in edicola e in formato digitale sono risultati sorprendenti per almeno due motivi. Innanzitutto perché su 15 oli extravergini testati – tutte miscele di provenienza Ue, solo nel caso del Colavita l’origine è Ue e non Ue – quasi la metà alla prova d’assaggio sono risultati essere oli di oliva vergine. Le aziende testimoniano, analisi alla mano, che il loro olio è extravergine e come tale è stato consegnato ai supermercati. Dunque se ha perso tali qualità è colpa del trasporto o dello stoccaggio. “I nostri oli sono conformi”. Il responsonegativo del paneltest è stato condivisoprima della pubblicazione con le aziende coinvolte che hanno replicato ribadendo la rispondenza dei propri prodotti alla categoria “extravergine” come dichiarato in etichetta.
Parleremo dell’olio extra vergine e dei marchi coinvolti con il direttore del Salvagente Riccardo Quintili nell’appuntamento mensile con TeleAmbiente.
Il problema però, verrebbe da ribattere, non è certo del consumatore che acquista in buona fede un olio credendolo (e pagandolo) come extravergine.
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Il secondo elemento sorprendente riguarda i risultati ottenuti che sono molto simili a quelli di un testanalogo condotto dal Salvagente nel giugno 2015: anche in quel caso quasi la metà dei campioni di extravergine furono dichiarati “vergini” dal panel test delle Dogane. Ne scaturì un’inchiesta giudiziaria con l’ipotesi di frode in commercio che, partita per iniziativa dell’allora procuratore RaffaeleGuariniello della Procura di Torino, si infranse poi nello spacchettamento della competenza territoriale e si concluse con le archiviazioni. A seguito poi di un esposto di Konsumer Italia, l’Antitrust, sulla base delle analisi condotte dai Carabinieri del Nas per conto della Procura di Torino che confermarono la presenza di lotti di falso extravergine, contestò ad alcuni marchi coinvolti la pratica commerciale scorretta, comminando salate sanzioni, in alcuni casi annullate poi con ricorso al Tar dalle aziende coinvolte.
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Stefano Masini, responsabile Ambiente e territorio della Coldiretti e docente di Diritto alimentare all’Università Tor Vergata di Roma, è molto netto: “Il Consiglio di Stato con la sentenza del 20 novembre 2020, credo abbia detto una parola definitiva sull’attendibilità e oggettività del panel test ritenendo la prova organolettica ‘essenziale per la corretta classificazione degli oli’ e sancendo che i suoi risultati non si traducono in ‘decisioni arbitrarie’ essendo ‘governata da stringenti parametri normativi predeterminati’. Fatta questa precisazione, è doveroso intensificare i controlli e aumentare le valutazioni organolettiche per evitare che i consumatori possano essere vittime di frodi”.