Home Clima Clima, gli ecosistemi più grandi rischiano il collasso in pochi anni

Clima, gli ecosistemi più grandi rischiano il collasso in pochi anni

Il collasso degli ecosistemi più grandi, una volta raggiunto il punto di non ritorno, avviene in fretta e non in modo graduale. Di conseguenza sistemi come la Foresta amazzonica potrebbero scomparire in pochi decenni.

Secondo uno studio anche gli ecosistemi più grandi come quello della Foresta amazzonica potrebbero arrivare al collasso in pochi decenni, un’ipotesi presa in considerazione fino a questo momento solo per gli ecosistemi più piccoli.

Deforestazione, pubblicato il report sulle 500 multinazionali maggiormente coinvolte  

I ricercatori hanno spiegato che una volta raggiunto il punto di non ritorno, il collasso degli ecosistemi non avvenga in modo graduale ma rapidamente. Gli autori dello studio, pubblicato sulla rivista Nature Communications, hanno spiegato che il loro lavoro dovrebbe far comprendere ai politici di avere meno tempo a disposizione per affrontare i temi dei cambiamenti climatici e la biodiversità. Esaminando la relazione tra la grandezza degli ecosistemi e la velocità del loro collasso, gli autori hanno preso in esame 42 casi di “cambiamento di regime”, il termine con cui viene descritto il cambiamento da uno stato all’altro. 

La scoperta si basa sul fatto che nonostante in un primo momento gli ecosistemi più grandi e complessi appaiano più grandi e resistenti rispetto ai più piccoli, una volta raggiunto il punto di non ritorno, il collasso avviene più velocemente perché non riescono a recuperare in fretta il proprio modello strutturale. Di conseguenza, più grande è l’ecosistema, maggiore è la probabilità della perdita. Basandosi su analisi statistiche, gli autori stimano che un ecosistema della grandezza dell’Amazzonia, circa 5.5 milioni di km2, possa collassare entro 50 anni una volta raggiunto il punto di non ritorno mentre per la barriera corallina caraibica, circa 20,000 km2, il collasso potrebbe avvenire nel giro di 15 anni.

Coronavirus, ci sono deforestazione e allevamenti intensivi alla base delle epidemie?

Secondo lo studio “dobbiamo prepararci ad un cambiamento di regime in ogni ecosistema nel giro di anni e decenni piuttosto che nel giro di secoli o millenni. L’umanità deve ora prepararsi a cambiamenti negli ecosistemi che sono più veloci di quanto precedentemente previsto attraverso la nostra visione lineare tradizionale del mondo, compresi gli ecosistemi più grandi e iconici della Terra e i sistemi ecologici che supportano“. Lo studio sostiene che gli incendi in Australia siano un esempio del cambiamento di questi ecosistemi. Gli scienziati erano già a conoscenza del fatto che il declino potesse avvenire più in fretta di quanto preventivato ma non avevano ancora a disposizione uno studio che potesse quantificarne e spiegare il trend.

La novità è che stiamo mostrando come questo sia parte di una storia più ampia. Più è grande il sistema, maggiore è la fragilità e il collasso proporzionalmente più rapido” ha affermato John Dearing, professore di geografia fisica all’Università di Southampton e autore principale dello studio. “Quello che stiamo dicendo è che non bisogna prendere in considerazione la longevità degli ecosistemi che esistono da migliaia di anni, se non milioni, perché collasseranno più velocemente di quanto pensiamo”. Dearing ha spiegato di essere preoccupato per il fatto che una delle possibili implicazioni dello studio riguardasse una completa distruzione dell’Amazzonia: “Questo è un risultato molto soddisfacente dal punto di vista scientifico ma preoccupante dal punto di vista personale. Sarebbe stato meglio non ottenere questi risultati”.

 

Amazzonia, JBS colosso della carne “contribuisce alla deforestazione”

Un recente studio sostiene che l’Amazzonia possa trasformarsi in una fonte di emissioni a causa dei danni provocati dalla deforestazione, lo sviluppo industriale e riscaldamento globale. “Penso che la combinazione di teoria, modellistica e osservazioni sia particolarmente convincente in questo documento e che dovrebbe avvertire dei rischi derivanti dalle attività umane che mettono a rischio i grandi e apparentemente stabili ecosistemi da cui dipendiamo” ha affermato Georgina Mace, professoressa di biodiversità ed ecosistemi all’University College di LondraCi sono azioni che possiamo prendere adesso come la protezione delle foreste, la gestione della biodiversità e una riduzione della pressione di abbattimento, incendi e pulizia delle foreste”. Questo punto di vista è stato condiviso da Ima Vieira, ecologista brasiliana: “E’ uno studio molto importante. Per evitare il collasso dell’Amazzonia in Brasile dobbiamo rafforzare le nostre politiche, sanzionare le compagnie e rinforzare le leggi relative ai crimi ambientali. E dobbiamo farlo in fretta”.

Tuttavia la metodologia non è stata accettata universalmente; Erika Berenguer dell’Università di Oxford sostiene che lo studio si concentri troppo sui dati di laghi ed oceani come indicatori di quello che potrebbe accadere anche alle foreste pluviali: “Non c’è dubbio che l’Amazzonia sia a rischio e vicina al punto di non ritorno ma queste dichiarazioni non aiutano la scienza né i politici”. Secondo gli autori lo studio non riguarda le previsioni di una specifica regione ma un’indicazione della velocità con cui potrebbero avvenire i cambiamenti.

Articolo precedenteAnimali, il progetto per salvare una specie di tartarughe dall’estinzione sta avendo successo
Articolo successivoCoronavirus, Greta: “Continuiamo la nostra protesta sui social”. Parte il #digitalstrike