Il piccolo Stato insulare rischia di sparire nei prossimi decenni. Ma davvero l’Australia è diventata un Paese solidale e impegnato per il clima? (Spoiler: no).
Si parla sempre di più di migranti climatici. In alcuni casi è una drammatica prospettiva futura, in altri è praticamente una certezza: la crisi del clima farà sì che sempre più persone lasceranno le loro terre d’origine, che i fenomeni sempre più estremi per frequenza e intensità renderanno col passare del tempo più inabitabili. E c’è chi sembra già davvero condannato, come il piccolo Stato insulare di Tuvalu, situato nel cuore della Polinesia, nel bel mezzo del Pacifico, e sempre più minacciato dall’innalzamento del livello dell’oceano.
L’esistenza di Tuvalu a rischio
Se la crisi climatica non sarà mitigata a sufficienza, Tuvalu rischia di rimanere completamente sommerso dall’acqua già alla fine di questo secolo. E il suo territorio, già decisamente ristretto (solo la Città del Vaticano, il Principato di Monaco e Nauru sono Stati sovrani meno estesi), rischia di ridursi ulteriormente. Due dei nove atolli che formavano Tuvalu sono già stati quasi del tutto sommersi e la fine dell’esistenza di questo arcipelago sembra solo questione di tempo (gli esperti stimano che potrebbe arrivare nel giro di 80 anni).
Anche per questo, in soccorso di Tuvalu è arrivato un accordo firmato con l’Australia. Che garantirà condizioni privilegiate per gli 11mila abitanti di Tuvalu.
L’accordo con l’Australia
Anche se Tuvalu si trova a metà strada tra l’Australia e le Hawaii, e le isole più vicine sono le Samoa, le Figi e le Kiribati, i rapporti tra Funafuti e Canberra sono sempre stati abbastanza buoni. Ed è per questo che un trattato tra i due Stati porterà diritti speciali per gli abitanti di Tuvalu, che saranno facilitati a trasferirsi e lavorare in uno Stato che generalmente è piuttosto intransigente sull’immigrazione. “I cambiamenti climatici si stanno aggravando e la popolazione di Tuvalu merita di poter scegliere di vivere, studiare e lavorare altrove” – hanno spiegato Anthony Albanese e Kausea Natano, rispettivamente premier di Australia e Tuvalu – “Chi arriva da Tuvalu potrà beneficiare dell’accesso ai servizi australiani che consentiranno loro di muoversi con dignità, mentre l’Australia si impegna a difendere e sostenere Tuvalu in caso di invasioni o calamità naturali“.
Il cambio di passo
Non sempre, però, l’Australia è stata un esempio di solidarietà internazionale e impegno climatico. Anzi: il pesante ricorso a carbone e gas, prolungato nel tempo e mai ridimensionato neanche davanti all’evidenza della crisi climatica, ha peggiorato i rapporti con tutti i vicini del Pacifico. Piccoli Stati insulari che lottano per la sopravvivenza, sempre più minacciati dal cambiamento climatico che ha portato fenomeni estremi e un innalzamento del livello del mare che mette a rischio l’esistenza anche nel prossimo futuro.
Cosa c’è sotto?
Dal momento che l’Australia è tra i Paesi con le ambizioni climatiche più basse, un simile impegno può essere visto con sospetto. E a ragione. Con tutta probabilità, si tratta di una mossa geopolitica per estendere l’influenza australiana del Pacifico di fronte alla crescente presenza della Cina. Le Isole Salomone e Kiribati, ad esempio, negli ultimi anni hanno intrecciato importanti rapporti economici e politici con Pechino. Tuvalu, invece, che riconosce a livello diplomatico Taiwan, ha scelto di avvicinarsi all’Australia. Ora, perché l’accordo diventi effettivo, si attende la ratifica di entrambi i Paesi.