“Ci sono alcuni vecchi bisogni non soddisfatti, è il caso della diagnosi precoce che oggi ancora non esiste“, Nicoletta Cerana Presidente ACTO Italia
Il 70% delle donne affette da un tumore ovarico scopre di avere questa malattia quando è già a uno stadio avanzato, ciò a causa dei sintomi, che possono facilmente essere scambiati per indizi di altri disturbi, e per il fatto che non esiste ancora uno screening efficace per questo tipo di tumore. Il dato emerge da un’indagine di ACTO Italia effettuata su 100 pazienti. Se oggi sette donne su dieci conoscono la malattia prima di ammalarsi, solo tre pazienti su dieci decidono di curarsi in centri specializzati nella cura di questo tumore. Può essere importante per le donne in età fertile accedere a centri capaci di operare anche su questo fronte. Il volume “Cambiamo rotta”, contenente il risultato dell’indagine e la testimonianza di nove donne che hanno intrapreso il cammino di cura è stato presentato in Senato.
“Cambiamo rotta – ha spiegato ad askanews Nicoletta Cerana Presidente ACTO Italia – è forse il progetto più importante per Acto perché ci vede a collaborare insieme, clinici ed istituzioni, a questo libro bianco con il quale vogliamo dare nuovo slancio alle cure per il tumore ovarico. Un primo slancio lo avevamo dato quando siamo nate 13 anni fa. Questo libro bianco – ha aggiunto – nasce proprio per affrontare nuovi bisogni che sono emersi da una ricerca quantitativa fatta su oltre 100 pazienti dalla quale emerge che ci sono alcuni vecchi bisogni non soddisfatti, è il caso della diagnosi precoce che oggi ancora non esiste”
“Siamo a un punto in cui dobbiamo ancora lavorare tanto – ha concluso Umberto Malapelle, docente all’Università degli Studi Federico II di Napoli – perché esistono questi test (genetici n.d.r.), è possibile eseguirli, stiamo lavorando affinché se ne possa avere un più largo accesso a tutte le pazienti, dobbiamo lavorare per la rimborsabilità aspettando nuove nomenclature che introducano il Comprehensive genomic profiling, ovvero test effettuati con tecnologie complesse che però oggi abbiamo a disposizione in molti istituti d’Italia e che fortunatamente possiamo offrire ai pazienti. Aspettiamo ma siamo sulla buona strada”.