Ecco cosa prevede la riforma, attesa a lungo ma decisamente ‘annacquata’ dopo le proteste di operatori economici e Paesi membri (Italia compresa).
Entra finalmente in vigore, da oggi, la legge Ue sul ripristino della natura (Nature restoration law). Si tratta di uno dei capisaldi del Green Deal ed è una riforma attesa da tempo, sbloccata dopo mesi di stallo e rallentata dall’opposizione di sette Paesi (Italia compresa). Per arrivare alla legge, diversi parametri sono stati abbassati ma ci sono ancora Paesi membri dell’Ue (tra cui l’Italia) e settori economici (soprattutto le grandi organizzazioni agricole) nettamente contrari.
La legge che entra in vigore a partire da oggi prevede non solo la protezione delle aree naturali, ma anche e soprattutto il ripristino di quelle degradate, secondo una tabella di marcia in tre tappe (il 30% di ogni ecosistema entro il 2030, il 60% entro il 2040 e il 90% entro il 2050). La Commissione europea, ormai due anni fa, aveva proposto di destinare il 10% dei terreni agricoli a interventi per la biodiversità (come coltivazioni di siepi, alberi, fossi, muretti o piccoli stagni) e il 4% dei terreni ad altre caratteristiche non produttive. Alla fine, dopo le proteste degli agricoltori degli scorsi mesi (alimentate anche da vari governi compreso quello italiano), nel testo approvato queste linee-guida sono state stralciate.
Nella lunga e complessa fase di approvazione, molte misure che la Commissione europea avrebbe voluto obbligatorie e vincolanti sono diventate volontarie. Tra queste, il ripristino delle zone umide per agricoltori e proprietari terrieri privati (cosa che nessuno ha intenzione di fare spontaneamente e per questo si pensa a sussidi statali per renderlo attraente dal punto di vista finanziario, ma a questo punto dipenderà dalla volontà singoli governi e con il contributo di tutti i cittadini).
Gli unici obblighi rimasti tali riguardano gli Stati e non i singoli agricoltori. Tra questi, il miglioramento generale della biodiversità, basato su tre fattori (presenza delle farfalle delle praterie, stock di carbonio organico nei suoli coltivati e quota di terreni agricoli con caratteristiche paesaggistiche ad alta diversità). In caso di crisi impreviste, sarà possibile sospendere questi obblighi. I vari Paesi membri, entro i prossimi due anni, dovranno presentare alla Commissione europea un piano nazionale di ripristino (prima come bozza e poi come documento pubblico definitivo, entro sei mesi dall’arrivo di eventuali osservazioni da Bruxelles).
Nei vari piani nazionali, i Paesi Ue dovranno presentare le misure previste per raggiungere gli obiettivi fissati al 2030, 2040 e 2050, includendo tempistiche, indicazioni sulle risorse finanziarie e benefici attesi, soprattutto per quanto riguarda la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici. Ogni percorso verso gli obiettivi sarà verificato e analizzato dal punto di vista tecnico dall’Agenzia europea dell’ambiente, incaricata di redigere relazioni periodiche. Gli Stati membri dovranno adottare misure di ripristino in almeno il 20% delle aree terrestri Ue e nel 20% delle aree marine entro il 2030. Le misure dovranno però essere avviate, entro il 2050, per tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino.
L’obiettivo della Commissione europea, rivisto al ribasso anche per via delle opposizioni maturate nell’ultimo biennio, è quello di ripristinare almeno 25.000 km di fiumi a flusso libero, invertire il declino delle popolazioni e migliorare la diversità degli insetti impollinatori, preservare la biodiversità negli ecosistemi agricoli e forestali, piantare almeno tre miliardi di alberi aggiuntivi entro il 2030 in tutto il territorio dell’Ue.