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TUTTI AL VOTO di Biagio Marzo

Di Biagio Marzo

Il voto è la chiave della politica nazionale e internazionale. Voto, ovvero elezioni di vario genere, e checché se ne dica la democrazia rappresentativa è ancora viva e vegeta. 
Si vota per eleggere i rappresentanti nelle istituzioni e si vota pure per i referendum. 
Due referendum, quello della Catalogna e quello del Kurdistan, stanno scatenando proteste e preoccupazioni.
I catalani manifestano contro il governo di Madrid che ha bloccato il referendum indipendentista, mentre il referendum indetto per staccare il Kurdistan dall’Iraq, costituendo uno Stato di nuovo conio, preoccupa gli Stati confinanti: la Turchia soprattutto.
Al voto sono andati, domenica scorsa, i tedeschi e i francesi. Due test importanti per verificare lo stato di salute della stagionata cancelliera Angela Merkel e quello, ancora in rodaggio, del presidente Emmanuel Macron.
La cancelliera Merkel vince ma perde voti che vanno alla estrema destra, la Spd di Schultz tocca il minimo storico e cambia strategia politica, dal governo con la CDU all’opposizione. Fatto sta che la Spd non ha una classe dirigente degna di questo nome e Schultz è il leader più spendibile con il risultato disastroso riportato che sta sotto i nostri occhi.  Angela Merkel, perdendo gli alleati socialdemocratici, dovrebbe rivolgersi ai Verdi e ai Liberali per formare una “coalizione Giamaica”, lasciando alle spalle la Grosse Koalition. Un cosa è certa la Cancelliera dovrà sudare le fatidiche sette camicie per formare il nuovo governo.
Domenica scorsa, come in Germania, si è votato in Francia, in alcuni collegi del Senato, e Macron ha assaporato il primo insuccesso, per via di una politica economica liberista in contrasto con le istanze sociali dei francesi, in gran parte fondate sul lavoro e sicurezza.
Prossimamente, il 15 ottobre, si voterà in Austria, il popolare Sebastian Kurz, – il trentenne Ministro degli Esteri del governo in carica, guidato dai popolari e socialdemocratici,- in pole position, ha sposato la politica di Macron, ma rischia parecchio di fronte all’avanzare dell’ultradestra del Partito della Libertà – FPO- che fu di Haider.
Last, but not least, l’Italia. Dopo il referendum costituzionale, si vota in Sicilia, un banco di prova di prim’ordine, per tutte le forze politiche, visto che le elezioni siciliane anticipano quelle nazionali di primavera prossima.

Di certo, la coalizione che vincerà, andrà, diciamo, in discesa verso il successo alle politiche. Niente di scontato, però le elezioni sono una sorta di prova del nove dei partiti di governo e di opposizione. Strano a dirsi, di là dai sondaggi pubblicati, c’è l’incertezza del vincitore, visto che ogni schieramento si trova in difficoltà.
In ultima analisi, partendo dalla realtà siciliana, si intravede una crisi che potrebbe portare a un processo di scomposizione dei tradizionali poli raffiguranti la destra e la sinistra. Ad esempio, non è un fatto normale che nella destra ciascun partito, -FI, Lega e Fratelli d’Italia-, presenti un proprio candidato a premier.
Lo stesso M5S che si è presentata all’opinione pubblica come una falange macedone, alla luce degli ultimi fatti si sta dimostrando come una specie di Armata Brancaleone.
Le primarie, – che hanno indicato come candidato alla presidenza del Consiglio e capo del Movimento Luigi di Maio, – hanno aperto delle crepe interne che difficilmente potranno essere superate. Per quanto riguarda il PD, vive una situazione inedita, fatta di attesa: come uscirà dalle elezioni siciliane? Vincitore o sconfitto?
Oppure in mezzo al guado? E che ripercussione ci sarà all’interno del gruppo dirigente, nel caso di un risultato negativo? Infine, resta il dubbio di come si piazzeranno, in queste elezioni regionali, gli scissionisti del Mdp di D’Alema e Bersani.
Non è tutto. Quasi sempre chi ha poco gradimento tra gli elettori è il Premier; invece, ne ha molto di più il segretario di partito. Nel PD succede il contrario: il presidente Gentiloni è molto più amato del segretario Renzi che aspira, salvo complicazioni politiche-elettorali,a prendere il suo posto.

Non c’è che dire: un vero e proprio busillis. Intanto, si aspetta la nuova legge elettorale, nella speranza che non faccia la fine di quei due che aspettavano Godot.