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Cos’è l’Accordo di Parigi da cui Donald Trump vuole uscire dopo la vittoria alle elezioni americane?

Donald Trump annuncia la sua intenzione di uscire dagli Accordi di Parigi, un passo controverso dopo la vittoria alle elezioni americane.

L’Accordo di Parigi sul clima e il possibile ritiro degli USA: quali potrebbero essere le conseguenze per la lotta globale al cambiamento climatico e l’impegno verso la decarbonizzazione?

Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca (che avverrà il 20 gennaio prossimo), l’attenzione di chi si occupa di lotta ai cambiamenti climatici è posta sulle promesse elettorali e sulle dichiarazioni che il presidente eletto ha fatto durante la campagna elettorale.

Una delle poche certezze rispetto al suo operato riguarda, secondo molti analisti, la possibilità che Trump ripeta ciò che fece nel suo primo mandato: portare gli Stati Uniti fuori dall’Accordo di Parigi sul clima. 

Si tratta di un accordo con il quale quasi tutti gli stati del mondo nel 2015 si impegnarono a fare di tutto per mantenere il riscaldamento globale causato dai combustibili fossili “ben al di sotto” dei 2°C, cioè quella che gli scienziati hanno indicato come la soglia da non superare per evitare le conseguenze peggiori della crisi climatica.

Durante la sua prima presidenza, Trump era uscito dall’Accordo di Parigi e ha promesso che lo farà di nuovo.

Quali sarebbero le conseguenze a livello globale di questa scelta?

Cos’è l’Accordo di Parigi sul Clima? 

Era il 12 dicembre del 2015 quando per la prima volta dall’inizio delle COP (le Conferenze dell’ONU sul cambiamento climatico) i rappresentanti di quasi tutti gli stati del mondo giungevano a una decisione storica: impegnarsi per limitare il riscaldamento globale che all’epoca stava emergendo come uno dei problemi più gravi da affrontare in questo secolo.

Chi firmò quegli accordi si impegnò a contenere l’aumento della temperatura media globale “ben al di sotto” dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali.

La temperatura di 2°C non fu scelta a caso. Fu quella che da tempo gli scienziati dichiaravano essere quella da non superare per evitare le conseguenze peggiori del cambiamento climatico (come nubifragi, alluvioni, siccità, cicloni e tutti gli altri eventi estremi che stiamo imparando a conoscere).

Insomma, era chiaro che bisognava tenersi alla larga da quella soglia. Per questo i decisori politici inserirono nell’accordo che i Paesi si impegnavano, ove possibile, a limitarlo a 1,5°C. 

Un altro obiettivo chiave dell’accordo è quello di raggiungere la neutralità climatica entro la metà del secolo, ovvero un equilibrio tra le emissioni di carbonio prodotte e quelle assorbite. Ciò, era chiaro già da allora, richiede un forte impegno verso la decarbonizzazione dei sistemi energetici, promuovendo fonti rinnovabili come il solare e l’eolico, e l’adozione di tecnologie per la cattura e lo stoccaggio della CO₂.

Le conseguenze di un’uscita degli USA dall’Accordo di Parigi sul clima

Ad oggi, quasi dieci anni dopo la firma di quell’accordo, il mondo non ha fatto i compiti a casa. La crescita della temperatura media globale è drammaticamente vicina a quell’1,5°C (soglia superata in alcuni mesi degli scorsi anni) e secondo le previsioni siamo lontani anche dalla soglia dei 2°C. 

Siamo lontani, certo. Ma la possibilità di mantenere il riscaldamento globale sotto i 2°C esiste ancora. Per questo tutti gli Stati che hanno firmato gli accordi devono accelerare sulle proprie politiche climatiche.

E qui casca l’asino: con la fuoriuscita degli USA dagli accordi (che quasi di sicuro sarà uno dei primi atti della nuova presidenza Trump) si perderà l’impegno della maggiore economia mondiale e del secondo emettitore di CO₂ del mondo. Il timore, inoltre, è che con il dietrofront americano venga a mancare la spinta anche per tante altre economie del mondo che temono che gli USA, sfruttando a più non posso petrolio, gas e finanche il carbone, possano garantirsi un vantaggio competitivo che non possono lasciar loro in nessun modo.

Gli USA alla COP29 

Di rilancio dell’Accordo di Parigi se ne parlerà alla COP29 che comincerà l’11 novembre a Baku, in Azerbaigian. Si tratta dell’annuale conferenza dell’ONU sul clima durante la quale i governi mondiali faranno il punto sugli obiettivi raggiunti (pochi) e le sfide da intraprendere (ancora molte) per mitigare il cambiamento climatico e per aiutare i Paesi più colpiti ad adattarsi al nuovo clima.

Come sempre parteciperanno anche gli USA. Ma il governo uscente avrà chiaramente poco peso perché le politiche climatiche americane (come tutto il resto) le faranno Trump&Co. appena giunti alla Casa Bianca a partire dal prossimo gennaio.

Ciò che gli analisti aspettano è una dichiarazione, a urne chiuse ed elezioni vinte, di Trump sulle questioni climatiche (magari proprio durante i giorni della COP) per comprendere quanto di ciò che il neo-presidente ha detto durante la campagna elettorale intende davvero portare a termine.