Smog. Torna l’allarme smog in oltre 17 città italiane.
Ad aver superato i 35 giorni di sforamento all’anno di Pm10 (concentrazioni nell’aria di oltre i 50 microgrammi/metrocubo) sono stati, soprattutto, alcuni capoluoghi di Piemonte Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto.
Per il dossier «Mal’aria di città 2019» di Legambiente, letto in anticipo dal Corriere, sino a settembre la «maglia nera» spetta a Torino (55 giorni) seguita da Alessandria (53) Milano (52), Cremona (51) e Rovigo (51). Oltre alle 17 fuorilegge, hanno raggiunto la soglia dei 35 giorni Monza, Reggio Emilia e Ravenna.
Le misure antismog
Da oggi scatteranno le misure previste dall’«Accordo di bacino padano» che prevede una lunga lista di interventi che vanno dal blocco della circolazione per i veicoli più inquinanti alla lotta al riscaldamento a biomasse passando per gli incentivi per il ricambio del parco auto e dei sistemi di riscaldamento degli edifici.
A Milano, per esempio, partirà l’Area B in cui sarà vietato l’ingresso ai veicoli diesel
sino a Euro 4, dal lunedì al venerdì dalle 7.30 alle ore 19.30. Il divieto riguarda circa 100 mila veicoli.
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La polemica
«A un anno dall’accordo di Bacino i risultati sono scarsi e basta parlare di “emergenza smog” — spiega Giorgio Zampetti, direttore scientifico di Legambiente—perché i nostri dati dimostrano che è un problema cronico e si ripresenta. Non siamo neanche in inverno, il periodo più critico dell’anno e già parliamo di allarme. Il problema è che le misure adottate sono emergenziali, spesso per un periodo limitato dell’anno e non strutturali. Serve una politica diversa che non pensi solo ai blocchi del traffico ma, soprattutto, a costruire un’alternativa al trasporto privato. Manca un vero coordinamento a livello infra-regionale, una valutazione dell’efficacia delle misure e il controllo sui Comuni per vedere cosa realmente adottano. Se non si fa questo continueremo a condannare
gli italiani a respirare aria inquinata».
«Nella pianura padana c’è un problema oro-geografico che favorisce il ristagno delle
polveri sottili — spiega Stefania Gilardoni, ricercatrice del Cnr — ma bisogna smettere
di pensare che si risolva solo limitando il traffico perché pesa per il 28 per cento del
“problema” Pm10. Più della metà si forma in atmosfera, combinandosi con inquinanti prodotti da sorgenti differenti.
Le alte concentrazioni di polveri si osservano anche nelle aree rurali dove l’inquinamento
da traffico si mischia con altre come l’ammoniaca prodotta dall’agricoltura.
Servono misure strutturali e integrate contro il traffico, il riscaldamento domestico (come
la combustione della legna) e il settore agricolo».
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Le buone pratiche
Molte città non si danno per vinte e stanno mettendo in campo buone pratiche. Per esempio, a Bergamo la cremagliera trasporta 2 milioni di passeggeri all’anno. A Bologna
il 45% degli spostamenti sui mezzi pubblici sono elettrici.
A Firenze è stata realizzata una rete tranviaria. A Perugia le scale mobili sono usate da 10 milioni di passeggeri. A Palermo, è stata realizzata una vasta Ztl, linee di tram, ci sono bus meno inquinanti e una flotta pubblica di car sharing con automobili elettriche e a misura di disabili. A Catania, la metropolitana (sette milioni di passeggeri) è piena di universitari da quando il costo
dell’abbonamento è incluso nella retta.