Il 2024 si candida a essere l’anno più caldo di sempre.
L’assenza di piogge causa degli effetti a catena che impattano soprattutto il settore agroalimentare.
La situazione più drammatica si registra in Sicilia dove da mesi è stato dichiarato lo stato di calamità naturale, la Regione ha nominato un commissario apposito e avviato la costruzione di nuovi invasi oltre alla riparazione delle condotte colabrodo, ma decenni di immobilismo vengono adesso ripagati con una situazione emergenziale che, in alcune città come Agrigento, spinge i turisti a fuggire.
Nel capoluogo l’acqua arriva ad intervalli di 8-10 giorni, troppo per non rovinare le vacanze dei turisti spaventati che hanno iniziato a disdire le prenotazioni. In città si calcola che il 50% dell’acqua si perda nelle tubature bucate.
Il raccolto di grano nell’isola, un tempo granaio d’Europa, è stato sostanzialmente azzerato mentre le immagini delle capre che bevono dalle pozze di fango hanno fatto il giro dei social, a testimoniare come la situazione è insostenibile. Intanto gli agricoltori che possono permetterselo sono costretti a comprare acqua dalle autobotti. I dati disponibili riferiti all’isola registrano un calo della produzione di miele, scesa del 70%, mentre quella di pere e ciliegie è diminuita rispettivamente del del 63% e del 60%.
Il Presidente di Confagricoltura Sicilia, Rosario Marchese Ragona Buccellato, ha dichiarato a TeleAmbiente la necessità di sostegni immediati ma anche un ripensamento della Pac: “La situazione è drammatica. In Sicilia quest’anno non ha piovuto. Non abbiamo foraggi, non abbiamo quasi più grano, ma i danni più consistenti rivedremo nei prossimi giorni con le fruttifere tutte. Gli agrumeti stanno soffrendo in maniera particolare; molti nostri imprenditori sono costretti a tagliare le piante perché ormai sono sofferenti, stesso discorso sulle uve, per le olive si prevede una non produzione perché questo caldo afoso ha fatto cadere i piccoli frutti. Gli allevamenti rischiano di sparire, non c’è più foraggio, non c’è più acqua, molti allevatori stanno portando al macello perché non hanno nulla da dargli da mangiare.”
Riguardo alle misure strutturali richieste nell’isola da decenni, Marchese Ragona Buccellato afferma che la Sicilia paga lo scotto di quarant’anni di immobilismo: “Si tratta di malapolitica perché se ci sono venti dighe non collaudate nell’isola, non è un problema di ieri. Nessuno prevedeva una stagione così siccitosa mia nel tempo nulla si è fatto per prevedere per prevedere una situazione così che, con i cambiamenti climatici, dovrebbero cominciare a essere prevedibili. Dobbiamo probabilmente immaginare un nuovo modo di fare agricoltura. Dobbiamo immaginare delle nuove colture diverse da quelle tradizionali però è anche vero che non possiamo cambiare dall’oggi al domani.”
Riguardo il ruolo delle istituzioni italiane ed europee nell’accompagnare questa transizione il Presidente continua: “Sulla PAC c’è una profonda discussione in atto, come Confagricoltura nazionale l’abbiamo messa in discussione, è una Politica non corrispondente alle nostre aree meridionali; per prendere una miseria di contributi dovremmo tenere l’inerbimento sotto le arboree fino a settembre, oggi in Sicilia c’è già un’allerta meteo con 40 gradi, tenere dell’erba secca fino a settembre è fuori da ogni logica per il rischio incendi. Quindi c’è da fare una profonda revisione della PAC per le nostre aree.”
Ma sono 12 le regioni italiane sottoposte a stress idrico. D’altronde i dati recentemente diffusi da Greenpeace mostrano una tendenza che vede il Nord andare verso la tropicalizzazione e il Sud avvicinarsi alla desertificazione. Secondo i dati diffusi da The European House – Ambrosetti dal 1950 ad oggi sono andate perdute il 51% delle risorse idriche rinnovabili.
Altra regione colpita dalla siccità è la Sardegna. Giambattista Monne, Direttore Regionale di Confagricoltura Sardegna, ribadisce la necessità che le politiche agricole siano costruite sulle necessità specifiche di ogni territorio: “La situazione in Sardegna presenta criticità e situazioni di ordinarietà. Il versante tirrenico quindi tutta la costa orientale della Sardegna vive una situazione di estrema criticità, mentre il versante del mar di Sardegna quindi la costa occidentale affronta una stagione ordinaria. Nel versante orientale non piove di fatto dall’autunno dell’anno scorso. In alcuni areali si sta ricorrendo ormai all’abbeveraggio del bestiame perché le falde e i pozzi sono entrati già in sofferenza. In questo momento si è parlato anche di sostegno economico. A nostro modo di vedere, come Confagricoltura, si tratta di garantire le condizioni di sopravvivenza degli allevamenti che non dispongono in azienda della possibilità di abbeveraggio degli animali e di alimentazione con autobotti o garantendo la risorsa acqua. pensare a interventi di tipo economico può essere valutato ma devono essere sostegni che trovano una pronta attuazione. L’agricoltura è pronta fare la sua parte nell’affrontare i cambiamenti climatici e la transizione verso la produzione di energie sostenibili certo è che l’atteggiamento nei confronti dell’agricoltura non può essere uguale nei confronti di tutte le agricolture europee. Quelle meno intensive vanno considerate come tali, in realtà come la Sardegna, ma anche in regioni come la Calabria o l’arco alpino, le imprese operano come operavano 50 anni fa. Bisogna distinguere tra forme diverse anche all’interno della stessa regione, agricolture più o meno estensive. Non sono più tollerabili generalizzazioni come quelle che abbiamo vissuto con il Green Deal e la nuova PAC.”