Strategie di comunicazione con tratti ingannevoli/omissivi in tema di sostenibilità, considerato anche l’impatto ambientale del proprio settore di attività, quello del fast fashion. Nuovi guai per Shein.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato un’istruttoria nei confronti di Infinite Styles Services CO. Limited con sede a Dublino, che gestisce il sito web italiano di Shein, per la possibile ingannevolezza di alcune affermazioni ambientali contenute nelle sezioni “#Sheintheknow“, “evolushein” e “Responsabilità sociale” del sito SHEIN.com.
Secondo l’Autorità, a fronte della crescente sensibilità dei consumatori per l’impatto delle loro scelte di consumo sull’ambiente, la società cercherebbe di veicolare un’immagine di sostenibilità produttiva e commerciale dei propri capi d’abbigliamento attraverso asserzioni ambientali generiche, vaghe, confuse e/o fuorvianti in tema di “circolarità” e di qualità dei prodotti e del loro consumo responsabile.
Anche alcune informazioni presenti su ‘evoluShein‘, la collezione di abbigliamento dichiarata ‘sostenibile’ dalla società, potrebbero indurre in errore i consumatori riguardo alla quantità utilizzata di fibre ‘green’, omettendo anche di informarli sulla non ulteriore riciclabilità dei capi d’abbigliamento.
Inoltre Infinite Styles Services CO. Limited, si rileva, “enfatizzerebbe in maniera generica l’impegno anche nell’ambito del processo di decarbonizzazione delle proprie attività, mentre gli obiettivi indicati sul sito web apparirebbero contraddetti dal consistente incremento delle emissioni di gas serra indicato nei rapporti sulla sostenibilità di Shein per il 2022 e il 2023“.
Nell’avvio istruttorio l’Autorità ipotizza che la società adotterebbe strategie di comunicazione con tratti ingannevoli/omissivi in tema di sostenibilità, considerato anche l’impatto ambientale del proprio settore di attività, quello del cosiddetto fast fashion.
E cosi il colosso cinese del fast fashion prova a tingersi di green, una strategia per distogliere l’attenzione dal suo modello di business insostenibile, per i suoi costi sociali e per la sua filiera produttiva che ci restituisce prodotti a prezzi davvero irrisori e dal massiccio uso di sostanze chimiche, come riportato in un’inchiesta di Greenpeace.
Non solo greenwashing, altri motivi per cui non dovresti acquistare su Shein
Non è di certo la prima volta che il colosso cinese del fast fashion Shein finisce sotto i riflettori. Un nuovo test della rivista tedesca dei consumatori Oko-Test ha rivelato la presenza di sostanze pericolose come piombo, cadmio e ftalati, vietati in diversi capi di abbigliamento, anche per bambini.
Inoltre Shein è più volte finita al centro di inchieste sulle condizioni dei lavoratori, pagati pochissimo e costretti a turni di lavoro sfiancanti.
L’organizzazione svizzera Public Eye la scorsa estate ha intervistato tredici dipendenti di sei fabbriche che riforniscono Shein per verificare cosa fosse cambiato rispetto alla precedente indagine del 2021. Il risultato? Ci sono ancora operai che cuciono vestiti anche per più di dodici ore al giorno, per sei o sette giorni a settimana, e solo un giorno libero al mese.
Il brand ha pubblicato recentemente il suo rapporto sulla sostenibilità e sull’impatto sociale, dichiarando di aver riscontrato due casi di lavoro minorile nella sua catena di fornitori nel 2023.
Ogni settimana 15milioni di abiti usati inquinano il Ghana
“Fast Fashion, Slow Poison: The Toxic Textile Crisis in Ghana” è un’altra testimonianza dell’impatto devastante degli indumenti usati dal Nord del mondo, quasi tutti capi di fast fashion, su ambiente, comunità ed ecosistemi nello Stato dell’Africa occidentale. La nuova indagine di Greenpeace rivela che ogni settimana circa 15 mln di vecchi abiti inquinano il Ghana.
I vecchi vestiti arrivano a Kantamanto, il secondo mercato di abiti usati più esteso del Ghana, ma quasi la metà di questi indumenti è invendibile.
L’Italia è la nona esportatrice a livello mondiale, terza in Europa, dietro a Belgio e Germania: soltanto nel 2022 dal Belpaese sono arrivate in Ghana quasi 200 mila tonnellate di indumenti usati. Tra i primi dieci brand di capi invenduti nel mondo troviamo tutti marchi del fast fashion, e tra questi compare ovviamente il colosso cinese Shein.