Un accordo firmato nel 2006 sta per finire, ma al nostro Paese manca ancora il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi (e nessun territorio intende ospitarlo).
Tra meno di sei mesi, l’Italia dovrà riprendersi le scorie nucleari ‘parcheggiate’ tra Gran Bretagna e Francia in base ad un accordo firmato nel 2006. L’intesa firmata ormai 18 anni fa, infatti, prevede il ritorno, nel 2025, di 78mila m³ di rifiuti radioattivi a bassa e media intensità che erano stati stoccati nei depositi transalpini e d’Oltremanica.
L’Italia, quindi, deve considerare anche nuove quantità di scorie radioattive, che andranno ad aggiungersi a quelle prodotte in passato dalle vecchie centrali nucleari e a quelle che invece vengono generate ogni giorno da alcune industrie e dal settore sanitario. Il problema, come è noto, è la mancanza di un Deposito unico nazionale: al momento, i rifiuti radioattivi vengono stoccati in piccoli depositi costruiti, o in fase di costruzione, nei siti delle vecchie centrali ormai dismesse.
L’Accordo intergovernativo di Lucca, firmato nel 2006, si basava sul riprocessamento del combustibile irraggiato ed era stato stipulato con la società Areva, l’attuale Orano. Sogin, che ha avviato nuovi rapporti con Orano da diversi mesi, ha precisato, nella persona dell’amministratore delegato Gian Luca Artizzu, che l’Accordo di Lucca non si basa sull’obbligo di disporre di un Deposito unico nazionale, bensì sull’utilizzo di un centro di stoccaggio o deposito conforme alle regole di sicurezza vigenti.
Il 3 maggio scorso, Sogin, insieme all’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare (Isin) e al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, hanno riavviato i rapporti con il governo francese: si lavora per definire un nuovo accordo di programmazione, con nuovi incontri previsti per il prossimo autunno. Da quegli incontri dipenderà molto del destino delle scorie nucleari che dovrebbero rientrare in Italia dall’estero.