Un’emergenza ambientale e una condizione naturale e strutturale che minacciano da tempo il nostro Paese. Il dissesto idrogeologico, però, viene accentuato dagli effetti del cambiamento climatico. Come sta affrontando il problema il nostro Paese? Il punto del dottor Arcangelo Francesco Violo, presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi.
Il dissesto idrogeologico è senza dubbio una delle principali emergenze ambientali in Italia, specialmente considerando che viene accentuata dalla combinazione con un’altra emergenza, ormai strutturale, come il cambiamento climatico. Anche per questo, il nostro Paese deve disporsi di piani e misure di adattamento, anche drastiche, seguendo un coordinamento istituzionale a tutti i livelli. Per questo motivo, la Commissione parlamentare di inchiesta sul rischio idrogeologico e sismico del territorio italiano sta ricevendo in audizione diversi esperti tecnici, come Arcangelo Francesco Violo, presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi, che ha fatto il punto della situazione sulle azioni di contrasto intraprese o da adottare. A che punto è il nostro Paese e quali sono le misure prioritarie da adottare?
“Nell’audizione, ciò che ho voluto evidenziare è che il problema nel nostro Paese è così vasto e complesso che non può avere una soluzione unica. C’è la necessità di diverse soluzioni e quindi un’azione integrata tra interventi strutturali e interventi non strutturali. Quelli strutturali ovviamente sono importanti in alcune situazioni e sono sicuramente utili, specialmente le sistemazioni dei versanti e le sistemazioni idrauliche. Non possono però risolvere le tante criticità del nostro Paese in maniera esaustiva, quindi dobbiamo agire con attività non strutturali: alcune che ho evidenziato sono urgenti, partendo dalla pianificazione territoriale che sappiamo essere la prima azione di prevenzione sul territorio” – ha spiegato il dottor Violo – “Serve pianificare bene il territorio, prevedendo tutte le situazioni di criticità e promuovendo uno sviluppo sostenibile e compatibile alle situazioni di rischio geologico. Una primaria azione di prevenzione che va fatta include la necessità dell’aggiornamento della pianificazione comunale, recependo la pianificazione di assetto idrogeologico, ma ho anche messo in evidenza come in alcune Regioni vi sia la necessità di aggiornare la pianificazione di assetto idrogeologico ma soprattutto, in campo nazionale, di risolvere il problema di disomogeneità che c’è tra i vari piani regionali di assetto idrogeologico“.
“Vediamo oggi che in alcune Regioni, le ex autorità di bacino regionale hanno redatto i piani utilizzando metodologie diverse e quindi abbiamo situazioni, in zone limitrofe, di mappature e anche di norme di attuazione diverse. Questo problema va prioritatamente affrontato e lo stesso vale per i piani di protezione civile che devono essere aggiornati e adeguatamente finanziati per consentire gli aggiornamenti ciclici e promuovere sempre di più l’informazione alla cittadinanza, visto che i cittadini informati adottano azioni di autoprotezione che possono salvare le loro vite” – ha aggiunto il presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi – “Un’altra attività non strutturale molto importante è l’attivazione dei presidi territoriali: sappiamo come spesso, dall’allerta all’impatto sul territorio dell’evento meteo, c’è un tempo utile, anche se spesso molto breve, per mitigarne il più possibile gli effetti. Questo si può fare con presidi territoriali e con personale tecnico che conosce il territorio e quindi sa subito quali siano le aree a più elevata criticità, in modo da agire efficacemente in termini di protezione civile e di programmazione degli interventi. Oltre agli interventi non strutturali, occorre anche che il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici individui con più precisione le priorità e che vengano stanziate più risorse finanziarie destinate a quelle azioni, senza le quali tutto resta un’idea sulla carta ma non efficace sul territorio“.
“I cambiamenti climatici non causano solo piogge alluvionali, ma anche lunghi periodi di siccità e di scarsità idrica. Occorre aggiornare i piani di tutela delle acque e il monitoraggio quantitativo delle risorse idriche perché più dati si hanno, anche sulle opere di captazione, più i modelli e i bilanci idrogeologici saranno affidabili e sulla loro base si potrà ben programmare l’utilizzo delle risorse idriche. Occorre un maggior coordinamento tra le varie competenze in materia di difesa del suolo, che interessa quattro Ministeri e tutti gli enti subordinati (Distretti, commissari, Regioni, Comuni, Consorzi, ecc.) che operano in maniera spesso frammentaria e non coordinata” – ha concluso il dottor Violo in merito al rischio idrogeologico in Italia – “Abbiamo proposto, nel documento allegato in audizione che contiene uno studio realizzato dai nostri colleghi e presentato nel nostro ultimo congresso nazionale del 2024, di modificare le norme che hanno avviato i piani di assetto idrogeologico, perché risalgono alla fine degli anni ’90-inizio degli anni 2000. Quei piani erano scaturiti, purtroppo, dalla tragedia dell’alluvione di Sarno e in termini di rischio, e non di pericolosità o di suscettibilità alla franosità, c’è necessità non solo di cambiare la norma, ma anche di applicare le nuove tecnologie e le nuove conoscenze geologiche. Servirà quindi anche riformare e cambiare il D. Lgs. 152/2006, che norma i piani di assetto idrogeologico“.
Nel corso dell’audizione, si è affrontata anche la preparazione, dal punto di vista tecnico, dell’Italia rispetto al rischio sismico. Anche in quest’ambito, c’è ancora molto da fare.
“Ho voluto evidenziare il problema delle faglie attive capaci, perché l’unico catalogo attualmente esistente e gestito dall’ISPRA, che è il catalogo ITHACA, mappa le faglie attive capaci ad una scala che non è consona per una pianificazione comunale. Serve una individuazione precisa, che consenta anche di tenerne conto in maniera adeguata e corretta nella fase degli studi di microzonazione sismica” – il punto del dottor Arcangelo Francesco Violo – “Su questo siamo sicuramente indietro e occorre, il prima possibile, aggiornare quel catalogo, coinvolgendo gli istituti di ricerca, come l’INGV, e le Università, per creare dei dati di base più dettagliati che possano supportare i professionisti quando svolgono gli studi di microzonazione sismica di livello 1 e di livello 3“.