Sequestrate quattro società e un profitto stimato di circa 2,5 milioni. I rifiuti trasportati illecitamente tra Campania, Lazio, Friuli-Venezia Giulia, Ungheria e Repubblica Ceca.
Nove persone arrestate, tutte ai domiciliari, e un sequestro preventivo di quattro società e di un profitto stimato di circa 2,5 milioni di euro dopo la scoperta di un enorme traffico illecito di rifiuti tra Campania, Lazio e Friuli-Venezia Giulia. La Polizia di Stato e i Carabinieri forestali di Frosinone, coordinate dalla Questura ciociara e dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, hanno anche indagato 41 persone e nove società.
Le accuse, a vari titolo, sono associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, traffico illecito transfrontaliero di rifiuti, smaltimento illecito di rifiuti, sostituzione di persona e trasferimento fraudolento di valori. Tutto era partito dall’incendio alla Mecoris di Frosinone nel 2019: le indagini sul rogo nell’impianto in cui venivano smaltiti rifiuti speciali avevano permesso di scoprire che nel capoluogo ciociaro erano arrivati rifiuti provenienti illecitamente dalla Campania. I controlli venivano aggirati cambiando il codice identificativo: semplici rifiuti urbani venivano classificati come speciali e così potevano superare i confini regionali senza alcun trattamento e con semplici operazioni di stoccaggio.
Quei rifiuti, però, non restavano a Frosinone: prima venivano trasportati in un altro impianto a Cisterna di Latina, e da lì smaltiti come semplici scarti di lavorazione in una discarica di Colleferro. In molti casi, i formulari che accompagnavano i rifiuti non presentavano analisi che ne accertassero la reale composizione e gli inquirenti temono che il giro abbia coinvolto 2.550 tonnellate di rifiuti erroneamente classificati.
Tra i nove indagati, i ‘dominus’ occulti sarebbero un imprenditore ciociaro e uno campano, che avevano proseguito gli illeciti anche dopo l’incendio del 2019. Con l’impianto frusinate fuori uso, il sodalizio aveva scelto un altro stabilimento, gestito da una società in liquidazione, ad Aviano (Pordenone). Da qui, sempre grazie al sistema di falsificazione dei codici identificativi della tipologia, i rifiuti venivano poi portati all’estero, principalmente in Ungheria e Repubblica Ceca.