Home Cultura REPORT SVIMEZ 2016, CERVELLI IN FUGA DAL SUD ITALIA

REPORT SVIMEZ 2016, CERVELLI IN FUGA DAL SUD ITALIA

Roma. Non si ferma la fuga dei cervelli, ancor meno nei confini nazionali. Lo dice l’ultimo rapporto Svimez, presentato ieri a Roma alla Camera dei deputati, che ha stimato a 200 mila i laureati migrati dal Sud Italia al Centro Nord negli ultimi 15 anni.

Un fuggi fuggi generale che ha portato via al Sud italia ben 30 miliardi di euro, circa 2 punti di Pil nazionale. È il “depauperamento del capitale meridionale”, risorse e saperi che scappano rifugiandosi nelle zone settentrionali e all’estero.

E chi resta, sceglie comunque il Centro Nord. Dati disincentivanti per la crescita del Mezzogiorno, dove il tasso di anzianità è ai livelli nazionali più alti. Spiraglio di luce in campania, che tenta di trainare il Sud con un Pil in crescita di oltre il 2,4 per cento.
Un fenomeno che però vede il ritorno nel meridione alle attività cult di manifattura, turismo ed export. Miglioramenti che si poggiano ancora su un arretratezza che non vuole migrare.

Una fuga che per il presidente Svimez Adriano Giannola sembra essere “l’unico canale di miglioramento per le famiglie del Sud”. Ad incentivarlo, le stesse famiglie. Figli spesso indotti a vedere un Meridione senza lavoro e possibilità di carriera futura, spinti a lanciarsi in un pentolone di concorrenza nelle regioni Centro Nord, con picchi sempre più alti di domanda e più bassi di offerta.

Solo nel 2016 in Campania sono andati persi 9100 residenti. A trasferirsi al Centro Nord e all’estero sono 154 mila, soprattutto giovani, mentre 54 mila hanno comunque scelto altre zone meridionali. Un totale di 1751 fuggiti dal Sud nel 2016, con 903mila giovani e 311mila laureati.

Un bilancio che vede la cifra raddoppiarsi, se invece si contano le famiglie rimaste al Sud con cattive condizioni di vita. Il 60 per centro di queste famiglie non riesce ad arrivare a fine mese, un tasso di povertà che non lascia vedere un futuro nel Meridione.

Il Pil pro capite campano nel 2016 è di 17866, quasi la metà del Piemonte con un Pil a 29.856. Peggiora il confronto con la Lombardia, con un prodotto pro capite di 36.379. Un bel 40 per cento dei campani registra inoltre un reddito pari solo al 30 per cento dei redditi familiari, contro un 6,4% con reddito pari a quello di appartenenza.

A inizio 2016 la Campania contava 5 milioni e 850 mila abitanti. La stima della Svimez per il 2065 vede un crollare questo dato a 4milioni e 400 mila. Un milione di persone in meno in 50 anni.

Una minaccia di spopolamento meridionale, cui si aggiunge la bassa natalità e la crisi demografica. A mettere un freno sono gli investimenti pubblici e le nuove iniziative di finanziamento delle zone a rischio. Un’occupazione che riparte grazie ai nuovi sviluppi industriali e alle piccole realtà imprenditoriali, con retribuzioni che però restano ai minimi. L’età media dei lavoratori disponibili è di 50 anni, solo un dipendente pubblico su 4 è laureato. Inoltre, il contratto part time è il più diffuso sul territorio, anche in età avanzata, bloccando la crescita lavorativa.

Insomma, amari i bilanci di Svimez. L’associazione però fa previsioni compensative per il 2018, che vedono aumenti delle esportazioni per +4,3% e degli investimenti per +3,1% nel Mezzogiorno.

“Ci sono segnali incoraggianti di ripresa sui nostri territori – ha detto il segretario regionale Uil Campania Giovanni Sgambati – ma ci sono ancora tante sofferenze”.