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Chi vince la classifica dell’impatto ambientale nell’industria della fast fashion?

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Report e Greenpeace hanno monitorato per due mesi la spedizione e il reso di 24 pacchi contenenti indumenti dell’industria del fast fashion.

In Ghana troviamo la più grande discarica al mondo di abiti di seconda mano. Il paese conta oltre 31 milioni di abitanti e importa ogni settimana circa 15 milioni di abiti usati.

Un giro d’affari di circa 200 milioni di dollari. Eppure molti di questi abiti finiscono per diventare rifiuti, continuando ad alimentare lo spreco.

Ad alimentare il problema legato all’accumulo di rifiuti e all’impatto della moda sull’ambiente è la fast fashion.

In uno speciale di TeleAmbiente sul fast fashion abbiamo parlato di quanto inquina quello che indossiamo e chi paga realmente il basso costo degli abiti che si nasconde dietro all’industria della fast fashion.

In Ghana i pescatori non riescono più a sfamare le proprie famiglie perché le loro reti ormai tirano su soltanto vestiti usati, rifiuti di un’industria del fast fashion che riversa buona parte del suo export di scarto nel Paese.

Chi vince la classifica dell’impatto ambientale nell’industria della fast fashion?

Il fast fashion è un modello produttivo rapido, basato sul consumo veloce, che implica enormi impatti ambientali. Ma chi paga il costo nascosto dei nostri resi? Lo spiega Greenpeace nella puntata di Report in onda domenica 11 febbraio alle ore 20:55 su Rai3.

Da Temu a H&M. Report e Greenpeace hanno monitorato per due mesi la spedizione e il reso di 24 pacchi contenenti indumenti dell’industria del fast fashion.

Complessivamente i pacchi hanno viaggiato per 100mila chilometri. Una stima al ribasso, perché non sempre è stato possibile rintracciare il luogo di partenza.

 

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Orsola de Castro, designer e stilista italiana trapiantata a Londra, è stata tra le prime a fare del riciclo uno stile. Il suo primo marchio ‘From somewhere’ proponeva abiti realizzati a mano con gli scarti di stoffa dei grandi marchi. Perché tutto viene da qualche parte e lo spreco si combatte con ago e filo oppure all’uncinetto.

Per cambiare la moda, però, bisogna conoscerla: fonda così nel 2017 Fashion Revolution, un movimento che vuole spingere le aziende a dichiarare l’origine dei materiali, le condizioni di lavoro, l’impatto ambientale.

 

 

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