L’industria della moda è una tra le più impattanti al mondo. Vi spieghiamo perchè e come i nostri acquisti incidono sull’ambiente e come combattere il fenomeno della fast fashion.
Nonostante emergano sempre più dati sui devastanti impatti ambientali dell’insostenibile modello della fast fashion, purtroppo la moda usa e getta a basso costo continua a crescere.
Una delle cause è legata all’introduzione di modelli di business insostenibili come quello dell’ultra fast fashion di Shein, tra le app di moda più scaricate di Europa.
Ma cosa è la fast fashion? Si tratta di abiti di bassa qualità, di basso prezzo, con durata limitata nel tempo, che invogliano così i consumatori ad acquistarne di nuovi.
Secondo un’indagine condotta da Greenpeace Germania su 47 prodotti Shein acquistati in Italia, Austria, Germania, Spagna e Svizzera, “il 15% hanno fatto registrare, nelle analisi di laboratorio, quantità di sostanze chimiche pericolose superiori ai livelli consentiti dalle leggi europee”.
In altri quindici prodotti (32%) le concentrazioni di queste sostanze si sono attestate a livelli preoccupanti, “a dimostrazione del disinteresse di SHEIN nei confronti dei rischi ambientali e per la salute umana“, si legge nel rapporto. Questi prodotti sono da considerarsi illegali a tutti gli effetti.
A pagare il prezzo più alto della dipendenza chimica di Shein sono proprio i lavoratori che operano nelle filiere produttive del colosso cinese, sono esposti a seri rischi sanitari, oltre alle popolazioni che vivono in prossimità dei siti produttivi.
Parlando di lavoro, il disastro di Rana Plaza in Bangladesh, avvenuto il 24 aprile del 2023, e in cui hanno perso la vita più di mille persone, ha svelato cosa si nasconde dietro la produzione dei vestiti, soprattutto a basso costo, che indossiamo ogni giorno.
Ma cosa è cambiato da allora? A spiegarcelo Valeria Mangani, presidente Sustainable Fashion Innovation.
Greenpeace Danger Zone: “Troppo Greenwashing nel settore moda”
Nel rapporto Greenpeace Danger Zone viene svelato cosa si cela dietro la presunta sostenibilità di alcuni dei marchi internazionali.
Nell’indagine sono state controllate le iniziative di 29 aziende che aderiscono alla campagna Detox (H&M, Zara, Benetton, Mango etc.) e quelle di altri marchi internazionali come Decathlon e Calzedonia.
Molti prodotti sono spesso accompagnati da termini come “eco” “green” e da etichette che richiamano alla circolarità. Ma cosa c’è di vero in questi slogan? Ne ha parlato anche Milena Gabanelli in una puntata di Dataroom.
Numerose sono le iniziative che affrontano alcune
problematiche delle filiere produttive legate al rispetto dei diritti umani e dell’ambiente, come l’eliminazione delle sostanze chimiche pericolose promossa dalla campagna Detox di
Greenpeace.
La più grande discarica di vestiti al mondo si trova in Cile
La moda va a morire qui, nel meraviglioso deserto Atacama, attualmente ricoperto da almeno 39mila tonnellate di vestiti. Da diversi anni infatti, il paese sudamericano è diventato il polo internazionale dove confluiscono l’abbigliamento invenduto, gli scarti di produzione e i vestiti di seconda mano prodotti in Cina e Bangladesh.
Gli abiti (59mila tonnellate all’anno) passano da Asia, Europa o Stati Uniti, per arrivare al porto di Iquique in Cile ed essere rivenduti in America Latina. Ciò che non può essere venduto, finisce nel deserto più arido del mondo, l’Atacama. Si sono create molte altre dune quindi, ma non sono di sabbia, e non sono nemmeno biodegradabili. Gli indumenti inoltre, sono pieni di coloranti e tossine.
Come contrastare il fenomeno della fast fashion e l’impatto che ha sull’ambiente e sulla società? Per evitare di rendere ancora più alte le dune del deserto dell’Atacama, ma anche di far lavorare le persone (anche i minori) in condizioni disumane e nocive per la loro salute, bisognerebbe che la moda rallentasse. Ma in che modo?
I vestiti e gli accessori inoltre, possono avere una seconda vita, attraverso un riciclo creativo degli stessi. Si possono acquistare capi di seconda mano o realizzati in modo sostenibile, con materiali riciclati e biodegradabili. Per molte persone oggi la scelta dell’usato non è più una “seconda scelta”. Ecco le testimonianze che abbiamo raccolto in una puntata del programma di TeleAmbiente Vox Populi dedicata proprio al vintage e al second hand.
Se poi hai abiti che non indossi più, non buttarli! Partecipa agli swap party, dove potrai vendere ed acquistare abiti di secondo mano, per dare nuova vita agli abiti e favorire l’economia circolare.
Per rallentare il fenomeno della fast fashion, sarebbe sufficiente che ognuno di noi si soffermasse qualche istante in più a riflettere prima di acquistare indumenti che indosserà poi per pochissimo tempo.
Ecco 5 documentari da vedere per capire meglio cosa si nasconde dietro la fast fashion. QUI
Immagini video presenti nello speciale: