La storia dell’Ex-Ilva, della Taranto che vive o viveva alle sue spalle, ma con uno sguardo anche su Brasile e Germania, raccontata da Chiara Sambuchi nel suo documentario “Più forti dell’acciaio.
Di documentari sull’ex-Ilva di Taranto,la più grande acciaieria d’Europa, negli anni ne sono stati girati tanti. Tra questi però spicca un lavoro di qualità immensamente superiore. Si intitola Più forti dell’acciaio.
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Il film di Chiara Sambuchi è stato commissionato dall’ONG Mani Tese, impegnata per la giustizia sociale, economica e ambientale nel mondo. documentario rientra nel progetto New business for good ed è stato realizzato con il contributo dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo.
L’obiettivo è di innescare un dibattito pubblico sulla necessità di avviare una concreta transizione industriale, volta a contribuire alle sfide imposte dall’emergenza climatica e alla realizzazione degli obiettivi sostenibili fissati dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
L’ ex Ilva per i pugliesi resta un argomento ostico, in cui le posizioni permangono da decenni – nonostante le evidenze scientifiche – polarizzate tra la difesa occupazionale e il disastro sanitario e ambientale.
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Già in apertura Giosué De Salvo, responsabile Advocacy, educazione e campagne di Mani Tese, ha annunciato che «non si tratta di un film sulla crisi attuale dell’Ilva, ma di inserire l’argomento in una filiera più ampia dell’acciaio su scala globale». Lo spessore del lavoro filmico di Chiara Sambuchi è racchiuso anzitutto nel superamento del localismo. Lo sguardo della regista è proiettato su uno spazio ampio e si muove con acutezza di pensiero lungo un filo rosso. Quel cordone che tiene assieme il prima, il mentre e il dopo. Un viaggio tra le diverse fasi di una stessa filiera. I confini geografici si comprimono.
Sul grande schermo lo spettatore vede riflesso il principio di interconnessione che soggiace al funzionamento della vita. Taranto è la terra di mezzo, tra il Brasile e la Germania. Tra una delle più grandi miniere di ferro in piena foresta Amazzonica, nella regione Gran Carajas del Brasile, e la cittadina di Duisburg, nel cuore della Ruhr in Germania.
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Tre storie, tre protagonisti. C’è Pixininga, un agricoltore brasiliano di Serra Norte che lotta per contrastare lo strapotere del colosso minerario Vale. C’è Egbert, che lavora alla conversione dell’enorme stabilimento siderurgico trasformato, dopo la chiusura, in un parco naturale. E tra loro c’è Grazia, una pediatra tarantina che si affanna ogni giorno ad assistere i suoi piccoli pazienti nella speranza che l’ex-Ilva presto venga chiusa.
Più forti dell’acciaio è un film che vuole «scrivere un nuovo corso per il proprio mondo». Per farlo elabora «una risposta positiva e piena di speranza», che risani la ferita color rosso scuro che lacera la foresta amazzonica, la stessa che oltraggia la serenità di migliaia di tarantini costretti a respirare diossina e a seppellire parenti e amici. Quella risposta è sul grande schermo. Non è possibile non agognarla e non sentire il desiderio di renderla realtà. È «il risveglio dopo decenni di tremendo inquinamento nel bacino della Ruhr, che finalmente si riappropria di sé».
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Chiara Sambuchi ha scelto i protagonisti del suo film perché «le andavano dritti al cuore quando le parlavano». «Li accomuna – fa sapere – l’essere in momenti diversi della stessa lotta e l’aver intrapreso una straordinaria battaglia che ha come fine ultimo il bene per gli altri». Non resta che continuare a perseguirlo, senza ulteriori compromessi.