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Piano Mattei, pochi pro e tanti contro

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Nel primo giorno del vertice Italia-Africa in Senato, a cui hanno partecipato anche i rappresentanti delle istituzioni europee e non solo, Giorgia Meloni ha illustrato i principali obiettivi del Piano. Ci sono però tante ombre: ecco quali. 

Una presentazione in grande stile, quella del Piano Mattei in Senato. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha infatti accolto i leader di 25 diverse nazioni africane per il vertice Italia-Africa, ma a Palazzo Madama sono presenti anche importanti rappresentanti delle istituzioni europee e non solo: da Ursula von der Leyen a Roberta Metsola, passando per Charles Michel, Amina Mohammed (vicesegretario generale dell’Onu) e Moussa Faki (presidente dell’Unione africana). In Senato sono stati illustrati anche i principali obiettivi del Piano, che comprende investimenti strategici in Africa e che prevede, nei piani di Giorgia Meloni, di allargare la partnership a tutta l’Unione europea.

Il Piano Mattei, che l’Italia ha annunciato oltre un anno fa e che è stato approvato definitivamente dal Parlamento il 10 gennaio scorso, secondo Giorgia Meloni è “un progetto strategico a livello geopolitico, che vuole guardare all’Africa in modo egualitario, lontano da logiche caritatevoli, paternalistiche o assistenzialistiche“. L’Italia punta non solo a investire in infrastrutture e formazione nei Paesi africani, ma anche a far sì che lo stesso venga fatto dagli altri Stati membri dell’Ue. L’obiettivo è quello di promuovere la crescita e lo sviluppo dell’Africa, anche allo scopo di ridurre le necessità di migrazione, ma anche quello di trasformare l’Italia in un hub strategico del gas prima in tutto il bacino del Mediterraneo e poi nel resto dell’Unione europea. Ed è qui che risiede la prima criticità.

La scelta strategica del governo è legittima e forse anche necessaria, alla luce della crisi energetica innescata dall’invasione russa dell’Ucraina, ma resta un problema di fondo: si punta all’indipendenza energetica investendo, ancora una volta, in combustibili fossili. Eppure, per il fabbisogno nazionale, i rigassificatori di Piombino e Ravenna, la dorsale adriatica e il potenziamento del gasdotto TAP dovrebbero essere più che sufficienti. Lo sostengono anche gli esperti del think tank italiano per il clima ECCO: “Investire ed emettere garanzie per nuovi progetti di sfruttamento di gas rappresenta un grande rischio economico e finanziario, oltre che climatico, attraverso l’esposizione a stranded assets“.

I rischi, in questo caso, coinvolgono entrambe le parti: molti Stati africani legano la sostenibilità del debito nazionale agli introiti da progetti fossili, ma le entrate sono instabili e rischiano di essere poco durature a causa dell’altra volatilità di petrolio e gas nei mercati internazionali. Anche per questo, gli esperti di ECCO hanno sempre suggerito che la soluzione migliore fosse una serie di investimenti nella transizione, capaci di portare stabilità economica e occupazione a livello locale, oltre che comportare effetti positivi per il clima.

Oltre il 40% della popolazione africana non ha accesso all’energia, e una grande parte risiede nell’area dell’Africa subsahariana. Secondo ECCO, è essenziale garantire l’accesso universale all’energia affinché vi sia una reale crescita economica. Puntare ancora sui combustibili fossili, oltre a presentare rischi per l’economia dei Paesi africani, aggraverebbe ulteriormente la crisi climatica e per questo la soluzione più conveniente e sostenibile è scegliere l’elettrificazione dei consumi energetici attraverso le fonti rinnovabili. Questo, tenendo conto anche delle caratteristiche fisiche e della morfologia del territorio africano: il Continente possiede infatti circa il 60% di tutte le aree idonee a livello mondiale per produrre elettricità da fotovoltaico, ma anche ampie zone costiere ottimali per l’eolico, bacini fluviali per l’energia idroelettrica e un grande potenziale geotermico (soprattutto nella Valle del Rift, in particolare in Kenya, che ha già avviato da un decennio importanti investimenti in tal senso e che oggi produce, per via geotermica, il 38% dell’energia che utilizza a livello nazionale).

Tutto questo, senza dimenticare della ricchezza africana per quanto riguarda le materie prime critiche (o Critical Raw Materials) e le riserve di cobalto, manganese e metalli del gruppo platino, tutti minerali indispensabili per l’utilizzo nelle batterie e nelle tecnologie dell’idrogeno. La sfida (quasi) impossibile è far sì che a sfruttare queste risorse siano i vari Paesi africani e non le multinazionali che continuano a depredarne il territorio continentale.