Una nuova indagine mostra la presenza di PFAS nella maggioranza nell’abbigliamento sportivo outdoor britannico.
Su 27 aziende che producono abbigliamento e attrezzature per l’outdoor venduti in Gran Bretagna, come giacche o scarponi, l’82% dei brand utilizza ancora sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS) A dirlo è una recente indagine del magazine Ethical consumer.
“L’irreversibile contaminazione globale e l’estrema tossicità degli inquinanti eterni sono ormai indiscusse da anni, ma la maggior parte delle aziende di abbigliamento outdoor continua a usarle inutilmente e ad aumentare il carico di inquinamento dei PFAS. Questo non è accettabile e le aziende devono smettere di usarli ora. I consumatori dovrebbero acquistare solo dalle aziende responsabili che hanno smesso di usare i PFAS”, afferma Jane Turner, ricercatrice di Ethical Consumer.
Gli inquinanti eterni sono sostanze che hanno proprietà idrorepellenti e oleorepellenti, oltre ad essere molto resistenti alle alte temperature. Questo è il motivo per cui i Pfas vengono impiegati da anni in moltissimi settori e ad oggi sono presenti in una grande varietà di prodotti, come la realizzazione di abbigliamento tecnico e outdoor.
Inoltre, quasi tutti i marchi di attrezzature per l’outdoor fanno molto affidamento sulle fibre sintetiche, principalmente perché sono leggere, resistenti e possono essere impermeabilizzate. Tuttavia, la maggior parte delle fibre sintetiche, come il poliestere, sono realizzate con combustibili fossili e contribuiscono all’inquinamento da microplastiche. Come afferma un rapporto della Changing Markets Foundation il settore deve “ridurre la dipendenza dai materiali sintetici, attraverso una traiettoria praticabile e obiettivi per l’adozione di alternative più sostenibili“.
Quali marchi di abbigliamento outdoor sono più etici?
Ethical Consumer ha esaminato una gamma di marchi outdoor per evidenziare le migliori e le peggiori pratiche etiche, scegliendo quelli non specializzati in un solo settore, ad esempio solo scarponi da trekking, esaminando anche l’uso di materiali sostenibili e PFAS tossici da parte di ogni marchio.
I marchi hanno ricevuto punteggi in base a diversi criteri:
1)la percentuale dei loro materiali “più” sostenibili (ad esempio fibre naturali organiche o riciclate, lana/piumino riciclati o sintetici riciclati, fibre vegetali non organiche, lana di provenienza responsabile);
2) se l’azienda ha adottato misure per ridurre l’uso di acqua e l’inquinamento derivanti dalla produzione di tessuti;
3) se l’azienda ha aderito allo Zero Discharge of Hazardous Chemicals, un’iniziativa multi-stakeholder che lavora per eliminare gradualmente le sostanze chimiche pericolose dall’industria della moda. In questa categoria, solo tre marchi hanno ottenuto il punteggio più alto (50/100): Fjallraven, Jack Wolfskin e Vaude.
La maggior parte degli altri marchi ha ottenuto un punteggio di 30 o 40/100.
La rivista sottolinea anche che l’abbigliamento e l’attrezzatura outdoor più etici sono quelli che già possediamo. Diversi marchi accettano anche i vecchi vestiti per riciclarli, assicurandosi che non finiscano in discarica. Se ciò che hai non può essere riparato, allora acquistare di seconda mano è un’ottima opzione perché non aumentare la domanda di nuovi beni.
Quali tessuti dovremmo acquistare?
Le fibre naturali di origine vegetale, soprattutto se prodotte organicamente, sono generalmente i materiali più sostenibili. Ma potrebbero non essere adeguate per attività all’aperto più impegnative e per le gioie del clima britannico.
Le fibre di origine animale, come lana e piumino, possono funzionare molto bene (soprattutto per il calore) ma presentano problemi di diritti e benessere degli animali. E le fibre sintetiche, che sono onnipresenti in questo mercato derivano principalmente da combustibili fossili, non sono biodegradabili e contribuiscono all’inquinamento da microplastiche.
Ma un mondo senza PFAS è possibile? A Prato in Toscana, nel più grande distretto tessile d’Italia, Daykem produce impermeabilizzanti dei tessuti senza utilizzare pfas.
Il responsabile dell’azienda Daykem Gabriele Paoletti afferma che non per tutti i capi e tessuti è necessari un’impermeabilizzazione al 100%. Quindi tra qualche anno potremmo arrivare ad un mercato Pfas free.