L’esposizione prolungata ai PFAS altera il metabolismo osseo. Il prof. Carlo Foresta: “Azione diretta dei PFAS sull’osso con conseguente liberazione di calcio”
L’esposizione prolungata ai PFAS può alterare il metabolismo osseo modificando i livelli di calcio. A scoprire l’ennesimo effetto negativo sulla salute causato dai cosiddetti inquinanti eterni è il nuovo studio condotto dall’Università di Padova, dall’Ospedale di Vicenza e dall’università telematica Pegaso di Napoli.
La ricerca, finanziata dal Consorzio per la Ricerca Sanitaria (CORIS) della Regione Veneto, ha coinvolto 1.174 adulti provenienti da aree in cui le acque potabili sono contaminate da decenni.
L’inquinamento da PFAS negli ultimi anni è fonte di preoccupazione per la salute pubblica, soprattutto dal 2013 quando l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Veneto (ARPAV) scopre la contaminazione della cosiddetta “area rossa”.
Esposizione ai PFAS, i danni per la salute
Numerosi studi hanno associato le sostanze per-e polifluoroalchiliche a gravi danni per la salute. Questi composti chimici sono noti per la loro persistenza sia nell’ambiente che nell’organismo umano, accumulandosi nel sangue. Essendo interferenti endocrini, gli inquinanti eterni sono correlati al rischio di contrarre alcune forme di tumore, a danni alla fertilità e all’aumento dei livelli di colesterolo.
Nel 2023, l’International Agency for Research on Cancer (IARC) ha classificato il PFOA come “cancerogeno per l’uomo” (gruppo 1) e il PFOS come “possibilmente cancerogeno per l’uomo” (gruppo 2B). In aggiunta a quanto già noto sui danni alla salute, il nuovo studio italiano associa gli inquinanti eterni, in particolare il PFOA, a un’alterazione dei livelli del calcio nel corpo.
PFAS, tra i rischi anche le ossa fragili
“Una delle più frequenti manifestazioni cliniche riscontrate in soggetti esposti anche a bassi livelli di PFAS è l’osteoporosi, una maggior fragilità dell’osso tipica dell’invecchiamento ma che si può già manifestare in giovane età laddove si sia esposti anche a basse concentrazioni di queste sostanze”, spiega il professor Carlo Foresta, coordinatore dello studio, professore ordinario di Endocrinologia dell’ateneo padovano e presidente della Fondazione Foresta Ets.
L’obiettivo della ricerca, pubblicata sulla rivista Chemosphere, era valutare la possibile associazione tra l’esposizione ambientale ai PFAS e i livelli di vitamina D, calcio sierico e ormone paratiroideo (PTH) nei soggetti residenti nell’area rossa del Veneto.
Attraverso la misurazione dei livelli di queste sostanze nel sangue di 655 uomini e 519 donne di età compresa tra i 20 e i 69 anni, i ricercatori hanno scoperto che i soggetti con concentrazioni maggiori di PFAS presentavano anche livelli di calcio aumentati.

“Un aumento del calcio circolante può essere dovuto a un aumentato assorbimento intestinale mediato dalla vitamina D, a un aumento del paratormone, oppure a un maggior rilascio di calcio dai siti di deposito. E il più grande deposito di calcio del corpo umano è proprio lo scheletro”, spiega il professor Andrea Di Nisio, primo autore dello studio.
“Poiché nel nostro studio vitamina D e paratormone non sono modificati, i nostri risultati dimostrano che l’aumento di calcio, anche se ancora entro il range di normalità, può essere segno di un’interferenza dei PFAS a livello dell’osso, dove, ricordiamo, i PFAS si accumulano in abbondanza. Un recente studio ha infatti dimostrato che i PFAS inducono un aumento dell’attività degli osteoclasti, le cellule dello scheletro deputate al riassorbimento di tessuto osseo, con conseguente liberazione di calcio e riduzione della densità dell’osso.”
I risultati dello studio, durato quattro anni e frutto della collaborazione di ricercatori di Padova, Vicenza e Napoli, mostrano che alti livelli di esposizione ai PFAS possono interferire con il metabolismo del calcio, indipendentemente dallo stile di vita e dai fattori dietetici.
“I nostri risultati – commenta Foresta – ci spingono a riflettere su come un’esposizione prolungata a PFAS, anche se invisibile, possa avere ripercussioni sulla salute a lungo termine. Abbiamo dimostrato che la ben nota associazione tra PFAS e osteoporosi, ormai dimostrata a livello internazionale, non è tanto mediata da una riduzione di vitamina D, quanto da un’azione diretta dei PFAS sull’osso con conseguente liberazione di calcio”.