Respinta la causa contro PepsiCo, accusata dallo Stato di New York di aver inquinato il fiume Buffalo. Il procuratore Letizia James, però, ha presentato ricorso contro il colosso dell’inquinamento da plastica.
Letizia James, procuratore generale dello Stato di New York, non si è data per vinta e ha presentato ricorso contro la decisione del giudice di archiviare la causa contro PepsiCo, accusata di aver inquinato il fiume Buffalo con una grande quantità plastica monouso.
La controversia è iniziata nel novembre 2023, quando James ha accusato la multinazionale di aver inquinato l’approvvigionamento idrico di Buffalo. Dal 2013 al 2022, i volontari di Buffalo Niagara Waterkeeper, hanno raccolto i rifiuti nel fiume. Circa il 78% della spazzatura era di plastica, di cui circa oltre il 17% era riconducibile a PepsiCo.
Per James, dunque, “il packaging e il marketing irresponsabile della PepsiCo mettono in pericolo l’approvvigionamento idrico, l’ambiente e la salute pubblica di Buffalo”.
Il giudice Emilio Colaiacovo della Corte Suprema dello Stato di New York, però, lo scorso novembre ha rigettato la causa.
Secondo il giudice, “James non è riuscita a dimostrare che la PepsiCo ha creato un disturbo pubblico”, definendo “speculative” le accuse mosse dal procuratore.
Lo scorso lunedì, Letizia James ha presentato ricorso alla Corte Suprema dello Stato di New York, ritenendo che il giudice Colaiacovo abbia “applicato male la legge e i fatti” nella sua decisione del 1° novembre.
Oltre ad aver ingannato il consumatore con il marketing irresponsabile, PepsiCo ha aumentato, negli ultimi quattro anni, l’uso di plastica non riciclata per il suo packaging. L’azienda, però, sosteneva il contrario. Per questo motivo il colosso, insieme ad altre multinazionali come Danone e Coca-Cola, era stato denunciato all’Unione Europea per le sue dichiarazioni ecologiche fuorvianti.
Inquinamento da plastica, il fallimento a Busan e le false promesse delle multinazionali
Sia negli Stati Uniti che in Europa, quindi, i cittadini ritengono che dichiarazioni e comportamenti della multinazionale siano poco trasparenti. L’inquinamento da plastica è un’emergenza globale di cui USA e Cina sono tra i maggiori responsabili, essendo i primi due produttori del materiale al mondo.
Quello della produzione di plastica, poi, è un settore difficile da riconfigurare o fermare. Si è visto anche pochi giorni fa, quando le lobby sono riuscite a fare un forte pressing ai negoziati di Busan, in Corea del Sud. L’incontro internazionale era l’ultimo di cinque, e aveva lo scopo di definire un Trattato globale sull’inquinamento da plastica, includendo nel testo anche la possibilità di ridurne la produzione.
Dai negoziati non è nato un testo definitivo (come previsto all’inizio), ma l’ennesimo rinvio ad ulteriori incontri. Secondo l’OCSE, se non si interviene subito, l’inquinamento da plastica potrebbe triplicare entro il 2060, passando dai 460 milioni di tonnellate del 2019 a 1,2 miliardi di tonnellate.
Negli stessi giorni degli incontri a Busan, Coca-Cola ha ritirato i suoi impegni sul riciclo della plastica. “Una lezione magistrale di greenwashing” secondo gli ambientalisti, che va ad aggiungersi ad un altro comportamento scorretto che accomuna Coca-Cola e PepsiCo.
Le due multinazionali, infatti, oltre ad essere tra le principali responsabili dell’inquinamento da plastica, traggono profitto dal brutale sistema di sfruttamento del lavoro legato alla produzione dello zucchero in India. Un meccanismo in cui lavoro minorile, sterilizzazione delle donne e matrimoni con spose bambine continuano ad essere la normalità.
Tutti questi danni all’ambiente, alla salute e alla dignità umana per una bevanda zuccherata consumata nel tempo di un pasto, o snack e merendine pubblicizzate con ogni mezzo. Ne vale davvero la pena? Intanto, la plastica negli oceani continua ad aumentare.