La svolta potrebbe arrivare grazie a particolari polimeri utilizzati come incapsulanti.
I pannelli solari e fotovoltaici del futuro saranno più resistenti a fattori come l’umidità e i raggi ultravioletti e quindi potranno essere più duraturi. È questa la direzione su cui si sta concentrando la ricerca dell’ENEA, dove nel Centro di Portici (Napoli) sono stati condotti i primi test preliminari. I risultati, pubblicati anche su ScienceDirect, sono decisamente incoraggianti, come spiega Valeria Fiandra, ricercatrice del Laboratorio ENEA Dispositivi innovativi, e coautrice dello studio insieme a Lucio Sannino, Concetta Andreozzi, Giovanni Flaminio (Laboratorio Energia e Data Science) e Michele Pellegrino (Sezione Metodologie, Approcci e Strumenti per l’analisi della sostenibilità delle tecnologie energetiche).
“I test mettono in evidenza che è possibile migliorare la durabilità e la resistenza ai raggi UV di questi nuovi film incapsulanti aggiungendo nella formulazione additivi appropriati“, ha spiegato Valeria Fiandra. I film incapsulanti sono materiali polimerici-plastici utilizzati per rivestire e isolare dall’aria e dall’umidità le celle fotovoltaiche, prevenendone il danneggiamento da parte di agenti atmosferici, luce e ossigeno, e formando una barriera che rende i pannelli più resistenti e longevi.
L’incapsulante più utilizzato nei moduli fotovoltaici è un materiale polimerico, l’Etilene Vinil Acetato (EVA), che grazie alla presenza di additivi vede migliorare le sue proprietà ottiche e chimiche, in primis la capacità di trasmissione della luce. Tuttavia, le radiazioni ultraviolette, l’umidità e le alte temperature possono causare una degradazione chimica che porta alla formazione di acido acetico, che corrode le celle e danneggia i moduli. Va anche considerato che l’EVA è un polimero termoindurente, difficilmente riciclabile perché il processo di reticolazione (reazione tra catene polimeriche che crea legami forti) porta a nuovi legami che sono definitivi.
Per questo, l’ENEA ha pensato e sta testando un’alternativa all’EVA: si tratta di polimeri termoplastici, come le poliolefine, costituiti da catene lineari, poco ramificate e non legate tra loro da legami covalenti o ionici. In pratica, i polimeri termoplastici diventano malleabili se riscaldati e tornano allo stato solido quando si raffreddano, ma possono essere fusi e rimodellati più volte, senza subire alterazioni chimiche o degradazioni.
“La nostra attenzione si è focalizzata su materiali alternativi all’EVA il cui invecchiamento avvenga senza sviluppo di acido acetico. Tra questi ci sono materiali plastici come le poliofeline, che hanno caratteristiche molto interessanti” – ha spiegato Valeria Fiandra – “In primis, hanno una maggiore stabilità termica, fino a 400°C rispetto ai 300°C dell’EVA. Inoltre, presentano una maggiore resistenza alla degradazione da raggi UV e anche all’umidità“.
L’intuizione che si sta rivelando azzeccata potrebbe, se tutti i test avranno esito positivo, consentire di riciclare e lavorare più volte i nuovi materiali, rendendo più facile il disassemblaggio della struttura del modulo a fine vita e permettendo di recuperare materiali ancora riciclabili e valorizzabili. Questo potrebbe quindi migliorare la sostenibilità economica e ambientale dell’intero ciclo di vita dei moduli. “Nel complesso, abbiamo rilevato che le poliofeline come incapsulanti fotovoltaici sono un buon compromesso tra proprietà ottiche, resistenza termica, trasparenza e resistenza al foto-invecchiamento” – ha aggiunto Valeria Fiandra – “Con la nostra attività vogliamo fornire alle aziende uno strumento utile alla scelta del film incapsulante più adatto per la fabbricazione di moduli con elevate prestazioni e durevoli nel tempo“.