
Il giovanissimo project manager Giorgio Franco coordina un gruppo di lavoro eterogeneo e intergenerazionale attivatosi per la riqualificazione dell’antico e nobile Palazzo Beneventano nell’indifferenza dell’Amministrazione Comunale. L’intervista di TeleAmbiente.
Nella Sicilia incubatore a cielo aperto di innovazioni sociali e ibridazioni culturali, nella quale brillano le stelle di Favara e Mazara del Vallo, rispettivamente con le esperienze di Farm Cultural Park e Periferica, e nell’attesa che sull’ “Olimpo del cambiamento” salgano altri coraggiosi rigeneratori urbani indisponibili ad abbandonare la terra natia, può succedere che un’amministrazione comunale ostacoli il tentativo di un collettivo costruito sulla trasversalità dei saperi e sulla diversità dei pensieri. Succede nella Lentini dello storico filosofo presocratico Gorgia, per il quale “gli uomini retti sono onore e ornamento della città, del corpo lo è la bellezza, dell’anima la saggezza, dell’azione la virtù, del pensiero la verità”.
Succede in un territorio, simile a tanti altri di quel Mezzogiorno periodicamente descritto da Censis e Svimez come “deserto” dal quale fuggono soprattutto le più giovani generazioni per mancanza di opportunità, nel quale, invece, un gruppo vivace e determinato “di giovani e diversamente giovani” ha deciso di sfidare la rassegnazione con la mobilitazione. Per la valorizzazione di uno dei loro “beni comuni” più riconoscibili sotto il profilo identitario.
Teleambiente ha rivolto, perciò, alcune domande al neanche trentenne operatore culturale e project manager Giorgio Franco, già presidente della sezione locale di Italia Nostra.
Chi sono e da quali percorsi umani vengono i promotori del processo di riqualificazione di Palazzo Beneventano? Qual è stata la visione che vi ha mosso, per la quale non avete seguito l’esempio di tanti altri vostri concittadini, siciliani e coetanei del Mezzogiorno, che sono emigrati altrove?
Il processo di riqualificazione di Palazzo Beneventano è un’azione partita dal basso. Il nostro è un gruppo intergenerazionale ed eterogeneo di cittadini (studenti liceali e universitari, ma anche professionisti attivi in diversi ambiti), dal quale sono nati, prima, la sezione locale di Italia Nostra e successivamente, nel 2017, il progetto Badia Lost&Found, dal nome del quartiere sul quale investiamo, con tenacia ed eutopia, il nostro entusiasmo e il nostro pragmatismo. La nostra resilienza è frutto del seme dell’appartenenza che ogni giorno innaffiamo non volendo veder seccare la bellezza del nostro territorio. Palazzo Beneventano, fino al 2015, è riconosciuto più come “palestra per vandali” che come patrimonio culturale, privo di una adeguata destinazione d’uso e di una accurata organizzazione degli spazi. Il nostro intervento di restauro, perciò, ha avuto un carattere sia architettonico sia antropologico, agendo sulla sfera materiale e immateriale, per far comprendere, da subito, a tutti i cittadini che quel bene apparteneva a loro.
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Perché si è scelto di lavorare su questo bene architettonico e quali sono le sue peculiarità e le sue potenzialità? Come quest’architettura prestigiosa si inserisce in una Lentini scrigno di storia e di tradizioni?
È un palazzo nobiliare – disegnato dall’architetto Carlo Sada, progettista anche del Teatro Bellini a Catania – che si trova lungo il perimetro meridionale del centro storico di Lentini, dichiarato monumento nazionale negli anni ’20, e un tempo residenza di una delle più agiate famiglie della Sicilia, quella dei “Beneventano Della Corte”. L’edificio, di proprietà comunale, dal 1994 al 2007 fu parzialmente restaurato con fondi europei ma, come spesso succede in Italia, i lavori si interruppero e nel 2011 la struttura fu abbandonata. In seguito a gravi atti di vandalismo, con i cittadini confluiti nel collettivo che rappresento avviammo un processo di inclusione e partecipazione, per individuare la più adeguata destinazione d’uso ad un bene culturale mai consegnato alla città. Guardando dall’alto Lentini si percepiscono due cose: il modo in cui fu pianificata ed edificata fino all’800 e la discontinuità che irrompe con gli abusivismi degli anni ’70 ed ’80. Palazzo Beneventano ricade in un distretto urbanistico di stampo “nobiliare”: oltre ai Palazzi delle famiglie Aletta, Alaimo, Bonfiglio, De Geronimo, Pisano-Baudo, Scammacca, nell’area sono riconoscibili latomie di età greco-romana e diversi complessi di culto nei quali sono custoditi diversi capolavori d’arte moderna (due pale d’altare di Giuseppe Velasco, una tavola cinquecentesca di Vincenzo da Pavia).
Siete attivi da quasi 44 mesi. Quali le principali iniziative realizzate? Con quale riscontro di pubblico, ma soprattutto con quali risultati qualitativi e sociali?
In coerenza con lo spirito della Convenzione di Faro (Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società), dal 2016 ospitiamo visitatori da ogni parte del mondo, fornendo al territorio un’inedita esperienza di valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale. I nostri sono numeri importanti: 800 laboratori didattici, 30mila visitatori, modelli 3d ed audio guide per non vedenti, abbattimento di barriere architettoniche, 8 tesi di laurea, museografia degli spazi, virtual tour, oltre 200 mostre multidisciplinari e 2 night experience. Nel 2018 il progetto è stato selezionato per la finalissima del Bando “Culturability”, risultando tra i migliori 15 progetti d’Italia (su 351 partecipanti), conseguendo, inoltre, il 40esimo posto (su 300 partecipanti) al Bando “Creative Living Lab” del MiBACT. Nel 2019, infine, il MiBACT e la Fondazione Fitzcarraldo hanno supportato e orientato la nostra attività di gestione del Palazzo Beneventano. Il beneficio indotto è quello di una nuova coscienza e consapevolezza nel tessuto urbano.
Oltre alla ristrutturazione ad oggi parziale dell’organismo edilizio e alla sua rifunzionalizzazione, quali benefici ha ricevuto il quartiere e il territorio dalla vostra presenza?
Il centro storico di Lentini – quartiere Badia – soffre degli stessi problemi che affliggono gli analoghi frammenti urbani di tanti borghi italiani: spopolamento e crescita delle disuguaglianze, impoverimento culturale e degrado. Con gli abitanti del quartiere e con le scuole del bacino geografico stiamo cercando, pertanto, di contrastare questa “desertificazione” sociale e culturale. Il nostro programma ha permesso a Palazzo Beneventano di configurarsi come “icona” identitaria e di essere percepito come “bene comune” per l’intero territorio (Lentini, Carlentini, Francofonte, Vizzini, Palazzolo Acreide, Buccheri, Buscemi, Augusta). Da giovani, in modo particolare, pensiamo ai nostri coetanei e alle più giovani generazioni: cerchiamo di infondere coraggio e speranza. E siamo lieti che, dal 2017, una cinquantina di persone sono tornare a vivere e a frequentare Badia.
Come la vostra iniziativa è percepita dalle Istituzioni?
All’inizio di questa esperienza larghe sono state le intese ed i momenti di collaborazione, come testimoniato dalla sottoscrizione di un protocollo d’intesa e di una lettera d’intenti con l’Amministrazione Comunale di Lentini. Oggi, invece, nonostante gli evidenti risultati conseguiti negli ultimi 3 anni e mezzo che collocano la nostra esperienza tra le più innovative nella frontiera della valorizzazione di un bene culturale, innescando un’economia della conoscenza elevatasi a fondamentale driver per la riattivazione umana della comunità, il Comune sta ignorando i nostri sacrifici e non sta agevolando la nostra attività. La nostra volontà, invece, è collaborare per il progresso integrato e duraturo di Lentini. Il team dei giovani professionisti impegnati nel progetto “Badia Lost & Found”, in collaborazione con Italia Nostra, ha avanzato perciò, oramai mesi fa, una proposta di partenariato pubblico-privato, senza oneri a carico del bilancio comunale. Una iniziativa, ispirata da una norma presente nel Codice degli Appalti orientata a sottrarre all’abbandono la grande parte del patrimonio culturale nazionale, per permettere a soggetti qualificati – attraverso concessioni di lunga durata – di farsi carico della cura e gestione sostenibile dello stesso e attrarre nuovi investimenti per la sua promozione e valorizzazione.
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Qual è la vostra visione e la vostra speranza, nell’idea di trasformare un’azione collettiva in una impresa sociale che possa generare posti di lavoro nel campo della cultura, dell’arte o dell’archeologia?
Di questi quasi 4 anni di lavoro, tra le tantissime cose imparate, vorrei evidenziare, soprattutto, due aspetti: non solo con la cultura “si mangia” (e bene pure!), ma anche che la riqualificazione funzionale di un bene culturale dismesso – in un Paese nel quale oltre il 70% del patrimonio artistico e storico è abbandonato al suo destino – può essere il catalizzatore ideale e naturale per una integrata riconnessione sentimentale della e nella comunità di riferimento. Con il supporto di Legacoop, volendo perseguire la via della prosperità inclusiva, tra qualche mese ci costituiremo come cooperativa sociale. Oltre a Palazzo Beneventano, nel 2020 saremo impegnati nel recupero di un altro prezioso bene culturale degradato del nostro territorio, nel proposito di trattenere, secondo una visione via via sempre più strutturale, le intelligenze e i talenti del territorio. Per fare di una vocazione individuale una professione a beneficio di tutti. La principale forma di amore che conosciamo, alla fine, è questa: testimoniare la nostra appartenenza non smarrendo la speranza e mettendo distanza tra la nostra realtà e la nostra visione, ma investendo nella formazione e nel consolidamento di una nuova “coscienza dei luoghi” che possa innervare il cambiamento che vorremmo veder avvenire.