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Open to Meraviglia, il fail ministeriale con la Venere influencer

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Imbarazzo, superficialità e approssimazione alla ‘modica’ cifra di nove milioni di euro.

Il Ministero del Turismo al centro di polemiche e ironie per la campagna Open to Meraviglia, con una serie di immagini che dovrebbero invitare i turisti esteri a visitare l’Italia e che vedono come protagonista la Venere di Botticelli in versione (improbabile) influencer davanti a monumenti e paesaggi che sono vanto del nostro Paese. Fin qui, niente di male. Il ‘fail ministeriale’ inizia se si considerano tanti aspetti della campagna che tradiscono una certa superficialità e approssimazione da parte di chi, al Ministero guidato da Daniela Santanchè e all’Agenzia Nazionale del Turismo (Enit), se ne è occupato.

 

Sgarbi: “Roba da Ferragni”

La prima polemica riguarda l’opportunità di una campagna simile, che non è piaciuta neanche ad alcuni esponenti della maggioranza di governo. Come, ad esempio, Vittorio Sgarbi. Il sottosegretario alla Cultura ha commentato così Open to Meraviglia: “La ‘Venere’ di Botticelli raffigurata come una ragazza in viaggio tra un assaggio di pizza in riva al lago e una visita al Colosseo in pantaloncini. L’hanno travestita da ciclista e con la minigonna: roba da Ferragni“.

 

Il fail del dominio e degli account social

Uno degli aspetti più gravi riguarda la gestione dela campagna da parte del Ministero del Turismo. Il costo totale della campagna ammonta a nove milioni di euro, eppure emergono clamorose approssimazioni.
La prima, abbastanza clamorosa, è che il dominio ‘opentomeraviglia’ non è stato acquistato dal Ministero e c’è stato chi, fiutando l’affare, lo ha fatto ad una cifra irrisoria (in questo caso c’è una certa discrepanza tra le fonti, c’è chi parla di appena un centesimo e chi invece di 4,99 euro). Ora il Ministero dovrà sborsare parecchi soldi se vuole ottenere il dominio per un sito web relativo alla campagna.
Come se non bastasse, la campagna Open to Meraviglia era stata accompagnata da alcuni bizzarri nickname social (venereitalia23), che poi sono stati creati da altri su piattaforme come YouTube o Twitter. Anche in questo caso, il Ministero si ritrova con un pugno di mosche e per una campagna da condurre su tutti i social, probabilmente dovrà spendere ancora.

Il falso Made in Italy

Terzo errore: nonostante i nove milioni di euro spesi, le foto della Venere di Botticelli sono state acquistate a pochi euro da un sito di stock di foto. Peggio ancora se si pensa agli sfondi delle città italiane: quello di Venezia, infatti, è stato scattato da un fotografo statunitense (anche se di origini italiane), Sean Pavone. Alla faccia del Made in Italy tanto decantato dal governo.
C’è anche un video ad accompagnare la campagna, ma il filmato non ha nulla di italiano. Acquistato sul sito di stock Artgrid, nel video ci sono alcuni ragazzi che brindano in una cantina vinicola, che però si trova in Slovenia (e sloveno è anche il vino che si vede sulla tavola). Il regista è un film-maker olandese, Hans Peter Schepp.

Il fail delle foto su WhatsApp

L’ultimo, ma non meno clamoroso fail, riguarda le immagini caricate sul sito del Ministero. Sono cliccabili e caricate su singole pagine, dotate di URL, che ‘tradiscono’ il nome dei file e permettono di scoprire l’ennesima superficialità: quelle foto sono state scambiate su WhatsApp che, come è noto, a differenza di altre app di messaggistica istantanea (ad esempio Telegram), riduce notevolmente la loro qualità.

Le polemiche

Inutile dire che, di fronte ad un fatto del genere, si sono sprecate le polemiche, specialmente a livello politico. “È possibile che una campagna internazionale per promuovere il turismo italiano sia di così bassa qualità, come se fosse stata affidata ad uno stagista qualsiasi e non ad una agenzia rinomata?“, denuncia Europa Verde che cambia lo slogan della campagna in Open to Spreco.
La Venere di Botticelli è unica, uno dei simboli della bellezza italiana e del Rinascimento fiorentino. Usarla con una maglietta addosso mentre mangia pizza è una scelta infelice e ingiusta per la nostra cultura” – tuona invece il sindaco di Firenze, Dario Nardella – “Perché banalizzare così l’Italia e ridicolizzare le nostre opere d’arte? Tutto questo riduce l’Italia al solito banale luogo comune e non porta un turismo consapevole e di qualità. Di questo passo arriveremo al David di Michelangelo col mandolino in mano. Non aggiunge nulla al fascino del nostro Paese, anzi, sembra voler rincorrere il turismo dei like“.

La difesa di Daniela Santanchè

I meme che circolano in rete mi hanno fatto ridere, ma la campagna avvicina i giovani con linguaggi a loro vicini. Nove milioni è il costo complessivo della campagna in tutto il mondo, serviranno ad acquistare spazi pubblicitari in tutti i Paesi e continenti” – la difesa della ministra del Turismo, Daniela Santanchè – “Come sempre, quando c’è malafede, vengono veicolate informazioni errate. Forse la pizza viene criticata dalle persone un po’ snob e radical chic che mangiano caviale e salmone, ma la maggioranza degli italiani e dei tanti turisti che arrivano da ogni parte del mondo la apprezzano“.

La difesa dell’Enit

Travolta dalle polemiche, l’Agenzia Nazionale del Turismo (Enit) ha cercato di difendersi. “La campagna all’estero piace, è un modo sbarazzino e divertente che anche nell’abbigliamento viene percepito come stile italiano. Ci hanno criticato anche per la pizza, ma cosa avremmo dovuto fare? Mettere del sushi o un hamburger? Riappropriamoci anche un pochino di elementi dell’orgoglio nazionale“, ha spiegato l’ad Ivana Jelinic.