
L’allarme del presidente del Comitato olimpico internazionale (Cio).
Che la crisi climatica e il riscaldamento globale mettano a rischio i territori montani, con la scomparsa della neve ad altitudini sempre più elevate, non è un mistero. Ma le conseguenze rischiano di coinvolgere anche i grandi eventi, come le Olimpiadi invernali. L’Italia, con Milano e Cortina, si è aggiudicata l’edizione 2026, ma dal Comitato olimpico internazionale (Cio) arriva l’allarme.
Per l’edizione 2030, ci sono le candidature di Sapporo (Giappone) e Salt Lake City (Stati Uniti), più l’interesse di Almaty (Kazakistan), Borjomi (Georgia), Calgary (Canada), Praga (Repubblica Ceca), Sarajevo (Bosnia) e della regione della Savoia (Francia). Il Cio, però, ha già fatto slittare la propria decisione, da settembre alla fine di quest’anno (se non all’inizio del 2024). Ed il motivo è semplice: l’incertezza di fronte alla crisi climatica.
“Stiamo pensando ad un sistema di rotazione prestabilito e consolidato. Con la crisi del clima e il riscaldamento globale, ci saranno sempre meno sedi disponibili e quindi alcune località sono destinate a ospitare le Olimpiadi invernali molto più spesso” – ha spiegato Thomas Bach, presidente del Comitato olimpico internazionale – “In questo modo, si avrà anche la possibilità che tutte le strutture nelle varie sedi ospitanti rimarranno agli standard più elevati“.
Insomma, con la crisi climatica regna l’incertezza. Ed è anche per questo che la Commissione che si occuperà di selezionare la sede delle Olimpiadi invernali ha proposto un sistema basato su requisiti minimi. In particolare, le sedi candidate dovranno avere sempre temperature inferiori allo zero, nel periodo di svolgimento della competizione, nei 10 anni precedenti. E questi criteri restringerebbero di molto la ‘rosa’ dei potenziali candidati.