di Antonio Creti. Stoccolma. Kazuo Ishiguro, scrittore, poeta, sceneggiatore, grande tifoso dell’Arsenal, vince il Nobel per la Letteratura 2017. E’ una notizia bellissima. E come tutte le belle notizie arriva inaspettata non solo per tutti noi che amiamo i suoi romanzi da “Il gigante sepolto“, alla raccolta di racconti di “Notturni” e a “Quel che resta del giorno“, forse il suo romanzo più bello e struggente, da cui è stato tratto il film di James Ivory con Anthony Hopkins e la splendida Emma Thompson.
Così come di un altro dei suoi romanzi “Non lasciarmi” (Never Let Me Go), dal quale nacque il film di Mark Romanek (2010), per una grande storia d’amore, ma anche, come sempre nella narrazione di Ishiguro, un intenso e visionario romanzo politico.
Ma arriva inaspettata per lo stesso Kazuo Ishiguro come ha raccontato alla BBC, che in mattinata lo aveva chiamato per informarlo del Nobel. “Pensavo fosse uno scherzo, e anche di pessimo gusto”. Non sappiamo se Ishiguro abbia riso, nel momento della telefonata ufficiale giunta da Stoccolma, ma certamente avrà intaccato quel suo aplomb così serioso, quasi fosse un londinese della City, pur essendo nato 63 anni orsono a Nagasaki.
Fatto è che Ishiguro quando decise di prendersi un anno sabbatico, per cercare nuove ispirazioni, si fece assumere a Balmoral, residenza di caccia dei Windsor ad Aberdeenshire in Scozia, come battitore per la caccia al gallo cedrone. Voleva capire, scavando nella profondità della lingua, dei costumi e della realtà inglese, tanto da farlo diventare madrelingua, pur essendo legatissimo al Giappone da dove, all’età di sei anni, arrivò con tutta la famiglia, per poi stabilirsi definitamente a Londra.
E quella visione tutta inglese, della natura così forte e incontaminata, di quei silenzi infiniti e dolorosi, permane nei suoi romanzi e nei film che l’anno descritta, nel verde del Sussex e nelle lunghe distese della campagna inglese.
E proprio questa mescolanza di culture, questo approccio che si muove attraverso le due identità, linguistiche, culturali e emozionali, che avrà sicuramente ispirato gli Accademici di Svezia, sempre più attenti, in un mondo che si divide e si frantuma, a quelle ispirazioni che sanno coniugare realtà culturali così distanti, quasi contrapposte.
E non a caso, nei romanzi di Kazuo Ishiguro, troviamo tanta Jane Austen, con le sue intime e dolorose emozioni amorose, così come quelle stille di surreale narrazione di Franz Kafka, in un mix di formalismo e di estraniazione come nella figura di Stevens, il maggiordomo irreprensibile, assolutamente dedito al suo lord padrone, che poco a poco prende coscienza di un amore ormai perso e del dolore che nulla cancella, ma ravviva e intensamente riesce a farti ancor più vivere tutto…Quel che resta del giorno..e della vita.
Insomma questa assegnazione del Nobel per la letteratura che Stoccolma ci ha regalato ci ripaga di tante assegnazioni che nel tempo ci hanno fatto spesso irritare.
In attesa che si accorgano di Joyce Carol Oates e di Philip Roth, dobbiamo ammettere che è bella la motivazione che l’Accademia Svedese ha dedicato a Ishiguro “per avere mostrato l’abisso nel nostro senso illusorio di connessione col mondo, in romanzi di grande forza emotiva”.
Grazie.