L’inverno non ha portato abbastanza neve e le montagne si stanno scaldando troppo in fretta. I dati di Fondazione CIMA mostrano un forte rischio idrico per l’estate, soprattutto nel Centro Italia.
Ogni anno, con l’arrivo della primavera, la neve immagazzinata in inverno comincia a sciogliersi, trasformandosi in acqua che scende a valle. E in un momento storico caratterizzato dalla crisi climatica questo è un momento cruciale per comprendere quanta risorsa idrica sarà disponibile la prossima estate.
E dunque, come è andato questo inverno? Secondo i dati riportati dal centro di ricerca Fondazione CIMA, non benissimo ma comunque in miglioramento.
La neve accumulata lo scorso inverno contiene il 34% di acqua in meno rispetto alla media. Ma rispetto ai mesi scorsi la situazione è un po’ migliorata, grazie alle nevicate di marzo e a temperature insolitamente basse, specialmente al Nord.
“È stato un inverno abbastanza complicato per le nostre montagne”, ha detto a TeleAmbiente Francesco Avanzi, idrologo presso la Fondazione CIMA . “Al Nord siamo partiti molto lentamente e, a questo punto della stagione, ci troviamo a fare i conti con una serie di nevicate ma anche con episodi di fusione precoce durante l’anno. Il Po, che è il principale dei nostri fiumi al Nord, oggi presenta ancora una situazione di leggero deficit: siamo circa al -15/-20% rispetto alla media degli ultimi 15 anni. È comunque una situazione migliorata nel corso dell’inverno, e anche in questi giorni sono previste nuove nevicate. Molto diversa, invece, la situazione al Nord-Est e soprattutto al Centro, dove sugli Appennini osserviamo deficit anche dell’80-90%, sempre rispetto alla media degli ultimi 15 anni. È una situazione simile a quella dell’anno scorso in questo stesso periodo, e chiaramente non lascia ben sperare per la primavera e l’estate. In questo senso, sarà fondamentale capire quanta pioggia arriverà durante la primavera”, ha poi aggiunto.
È ancora presto, dunque, per dire se la prossima estate sarà caratterizzata da una forte ondata di siccità come è avvenuto negli scorsi anni prima nelle regioni del nord e poi nel Mezzogiorno. Abbondanti precipitazioni da qui a qualche settimana potrebbero riportare la situazione sotto l’asticella dell’emergenza. Ma l’attenzione, comunque, deve rimanere alta
Sempre meno neve in montagna, sempre prima
Se da una parte la scarsità delle precipitazioni nevose dello scorso inverno rappresenta un problema, dall’altra si aggiunge il riscaldamento globale. L’innalzamento termico ad alta quota fa sì che la neve arrivi tardi e si sciolga prima.
“Quello che stiamo vedendo oggi nella distribuzione della neve nel nostro Paese è coerente con gli scenari che la comunità scientifica ha delineato negli ultimi 30-40 anni: inverni con meno neve, soprattutto alle quote medio-basse. Ed è proprio in quelle zone che oggi si osserva una forte scarsità di neve, anche rispetto solo agli ultimi 15 anni. Non stiamo confrontando la situazione con gli anni ’50, ma con periodi che molti di noi ricordano bene. Detto questo, non significa che sia già stato fatto tutto il possibile. Sia la mitigazione che l’adattamento restano fondamentali: sono due facce della stessa medaglia nella sfida contro il cambiamento climatico”, spiega ancora Avanzi.
Perché l’Italia è tra i Paesi più esposti alla crisi climatica
Un problema, quello della scarsità delle precipitazioni nevose, che rientra nel più ampio sistema di crisi climatica che stiamo vivendo. L’utilizzo di combustibili fossili come petrolio, gas e carbone da parte dell’essere umano fa aumentare la quantità di anidride carbonica e altri gas serra nell’atmosfera. E questi fanno aumentare temperature in tutto globo.
Ma se il problema è globale, la crisi climatica non colpisce tutti allo stesso modo. L’Italia, ad esempio, è uno dei Paesi più attenzionati perché si trova al centro di due hotspot climatici, che è il nome con cui indichiamo le regioni del mondo maggiormente colpite dai cambiamenti climatici.
“Da un lato è al centro del Mediterraneo, che è ormai riconosciuto come una delle aree più sensibili ai cambiamenti climatici. Lo vediamo tutti, soprattutto d’estate: eventi estremi più frequenti, anche alluvionali, e un mare molto più caldo della norma. Se pensiamo al clima mediterraneo di 20 o 30 anni fa — estati miti e ventilate — non lo vediamo più. L’altro hotspot sono le alte quote. Oggi sappiamo che le zone montane si stanno riscaldando più velocemente di quelle in pianura. Dove in pianura possiamo aver guadagnato un grado o un grado e mezzo, in montagna si parla anche di aumenti di due o tre gradi. Le montagne sono vere e proprie fabbriche d’acqua: è lì che si produce l’acqua che usiamo a valle durante l’anno. E quindi è chiaro che un aumento delle temperature in quelle aree va monitorato con attenzione, perché l’acqua che evapora e non scende più a valle sarà quella che ci mancherà quando ne avremo più bisogno”, ha concluso Francesco Avanzi.