A pagare il prezzo più alto dell’inquinamento da plastica è l’ecosistema marino. Lo studio di ENEA dimostra che le nanoplastiche possono provocare la morte cellulare dei pesci.
L’inquinamento da plastica è diventato una minaccia globale che non può più essere ignorata. Nel 2022, la produzione di plastica ha superato i 400 milioni di tonnellate. Secondo le previsioni dell’OCSE la produzione potrebbe crescere fino a 736 milioni di tonnellate entro il 2040. Produzione che si trasforma presto in rifiuto, di cui solo il 9% viene riciclato. Ciò che resta si divide tra l’incenerimento (19%) e la discarica.
In questo quadro allarmante, che restituisce l’urgenza di adottare misure efficaci e globali prima possibile, si inserisce anche il problema delle micro e nanoplastiche. Queste minuscole particelle contribuiscono a danneggiare gli ecosistemi, specialmente quelli marini, con gravi conseguenze sugli organismi che li abitano.
L’ultimo studio dell’ENEA, realizzato in collaborazione con Cnr e Università della Tuscia (Viterbo), dimostra ancora una volta la pericolosità dei frammenti di plastica dispersi in mare.
La ricerca, effettuata su modelli in vitro di orata e trota iridea, ha dimostrato che le nanoplastiche di polistirene (polistirolo) possono provocare la morte delle cellule degli animali marini.
Ciò che emerge dallo studio, pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment, è che le particelle di polistirene da 20 nanometri – cento volte più piccole di un granello di polvere – hanno causato un danno maggiore alle cellule rispetto a quelle da 80 nanometri (lo spessore medio di un capello umano). Ad essere più danneggiate dall’esposizione alle nanoplastiche sono state le cellule di orata.
“Le particelle di plastica si sono attaccate alle membrane delle cellule, causando cambiamenti visibili nella loro forma e struttura, con tracce già evidenti dopo 30 minuti di esposizione. Solo le nanoplastiche da 20 nanometri hanno danneggiato gravemente le cellule nel tempo, portandole a una morte cellulare programmata (per apoptosi). E i primi segni evidenti di questo processo includevano il restringimento della cellula, la formazione di protuberanze sulla membrana, l’esposizione della fosfatidilserina (una molecola essenziale per il funzionamento della cellula) sulla superficie esterna della membrana, chiaro segnale di ‘agonia’ della cellula, fino alla frammentazione del DNA”, spiega Paolo Roberto Saraceni, ricercatore del Laboratorio ENEA Biotecnologie RED e coautore dello studio.
Le #nanoplastiche di polistirene (polistirolo) sono in grado di provocare la morte delle cellule degli animali marini. Lo #studio su modelli in vitro di orata e trota iridea è stato condotto in collaborazione con @CNRsocial_ e @unitusviterbo.@MASE_IT https://t.co/5t74YPWZc3
— ENEA (@ENEAOfficial) December 5, 2024
Inquinamento da plastica, la salute degli ecosistemi e umana sono interconnesse
Questi risultati dimostrano ancora una volta quanto: “la salute degli ecosistemi acquatici e terrestri, con il loro relativo impatto sulla salute umana, è strettamente interconnessa e può venire drammaticamente compromessa dalla diffusione dell’inquinamento da nanoplastiche se non affrontato con la dovuta tempestività”, ha chiarito Saraceni.
I ricercatori hanno identificato i possibili meccanismi alla base del danno ai tessuti biologici causato dalle nanoplastiche, sviluppando modelli di sperimentazione animal free avanzati.
“Le nanoparticelle possono causare effetti come tossicità cellulare, neurotossicità, genotossicità, stress ossidativo, alterazioni metaboliche, infiammazioni e malformazioni nello sviluppo delle specie marine, ma i meccanismi cellulari e molecolari alla base di questi impatti non sono ancora completamente compresi”, sottolinea Saraceni.
Un altro tassello per far luce sulle conseguenze dell’inquinamento da plastica, ma il percorso è ancora lungo.