Da una ricerca italiana arrivano i “ghostbusters” delle nanoplastiche in mare

Da una ricerca italiana arrivano i “ghostbusters” delle nanoplastiche

Tabella dei Contenuti

Da una ricerca italiana nasce un sensore che scova le nanoplastiche in mare. “Una nanoplastica alla volta possiamo sconfiggere l’inquinamento”, ha spiegato la biotecnologa Giulia Elli, coautrice dello studio.

Dagli “acchiappa fantasmi” agli “acchiappa plastica” il passo è breve. Un team di ricercatori ha infatti sviluppato una nuova tecnologia per combattere l’inquinamento da plastica causato dalle minuscole particelle, invisibili all’occhio umano. Gli innovativi sensori, creati dalla Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bolzano in collaborazione con l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, servono proprio per scovare le nanoplastiche negli ambienti acquatici, a partire dal mare.

Veloci e facili da usare, i “ghostbusters” delle nanoplastiche promettono di aiutare a trovare tutte le particelle – invisibili all’occhio umano – che ormai pullulano nei nostri corsi d’acqua. L’obiettivo dei sensori è di rintracciare le minuscole particelle di plastica per poi intervenire e depurare le acque inquinate.

Il World Economic Forum ha già lanciato l’allarme sull’inquinamento da plastica negli oceani, spiegando che “nel 2050 ci sarà più plastica che pesci nei mari e negli oceani del mondo”. Uno studio recente dell’ENEA, inoltre, ha ribadito la pericolosità dei frammenti per la fauna marina. Secondo la ricerca, le nanoplastiche di polistirene possono provocare la morte delle cellule degli animali marini. Questi frammenti non sono solo dannosi per l’ecosistema marino ma anche per quello terrestre. La loro presenza è stata rilevata praticamente ovunque, persino nell’organismo umano, dove hanno contaminato cervello, sangue, fegato, cuore. L’obiettivo di questo sensore quindi, è tanto ambizioso quanto necessario.

L’idea di questo rilevatore è nata dall’intuizione di un team di ricercatori dell’ateneo di Bolzano: la giovane biotecnologa, Giulia Elli, 29 anni, e i professori del Sensing Technologies Lab, Paolo Lugli e Luisa Petti. Il loro lavoro è stato pubblicato sulla rivista ACS Applied Materials & Interfaces.

Rilevatori di nanoplastiche in mare, come funzionano

La rilevazione delle nanoplastiche negli ecosistemi richiede ancora tecniche complesse e costose, come la spettroscopia, che nel monitoraggio ambientale hanno un’efficacia limitata. È da qui che è partito il team di ricerca per arrivare alla proposta di un sensore per identificare le microscopiche particelle nell’acqua innovativo e facile da usare.

Il “ghostbuster” si basa su un transistor a effetto di campo con nanotubi di carbonio e sfrutta le interazioni non covalenti tra questi e le nanoplastiche di polistirene. L’interazione induce un aumento della corrente generata, quindi maggiore è la concentrazione di particelle, maggiore sarà la corrente prodotta. Un sistema particolarmente interessante poiché i sensori sono molto piccoli e consentono di trovare gli inquinanti in modo rapido, facile e conveniente.

“Una nanoplastica alla volta – commenta la ricercatrice Giulia Ellipossiamo tutti sconfiggere l’inquinamento. Anche se le nostre azioni ci sembrano piccole come microparticelle, ognuna di esse puo’ migliorare il nostro pianeta”.

Per il momento la ricerca si è svolta in laboratorio e sta proseguendo in Francia, con l’Università Paris Cité. Lì stanno studiando la selettività dei sensori. In futuro, infatti, saranno anche in grado di identificare il tipo di inquinanti presenti in una certa zona del corso d’acqua.

Studiare materie ingegneristiche non significa solo progettare il futuro – sottolinea la prof.ssa Luisa Pettima anche proteggerlo: i sensori sviluppati a Bolzano dimostrano come l’innovazione possa diventare un’arma essenziale per combattere l’inquinamento invisibile e salvaguardare il nostro Pianeta”.

Pubblicità
Articoli Correlati