200 milioni di donne nel mondo hanno subito una forma di mutilazione genitale. Le mutilazioni genitali femminili (MGF) sono una piaga diffusa in tutto il mondo. La migrazione di popolazioni in cui è diffusa questa forma di violenza sul corpo delle donne rende qualsiasi Paese coinvolto in questa violazione dei diritti umani.
In Italia si stima che migliaia di donne residenti abbiano subito mutilazioni. Spesso il parto è il momento in cui i sanitari registrano le MGF che possono essere di diversa entità. La mutilazione può riguardare soltanto l‘asportazione della clitoride ma può arrivare, nei casi più gravi, all’infibulazione con chiusura del canale vaginale, in questi casi le piccole o grandi labbra vengono riposizionate e ricucite per sigillare il canale. Un piccolo foro permette solo la fuoriuscita del ciclo mestruale e dell’urina. L’obiettivo della pratica è rendere impossibile per la donna provare piacere sessuale e di conseguenza avere dei rapporti sessuali prematrimoniali. Anche dopo il matrimonio per la persona infibulata il rapporto sessuale sarà estremamente doloroso e privo di piacere. Il parto renderà necessario lacerare ulteriormente il sigillo creato.
L’Istituto Superiore di Sanità ha condotto un’indagine tra il personale sanitario per sfatare falsi miti che riguardano il fenomeno. 300 medici sono stai coinvolti nell’indagine effettuata dal Centro di ricerca in Salute globale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, l’Istituto Nazionale della promozione della salute delle popolazioni Migranti ed il contrasto delle malattie della Povertà.
#6febbraio: giornata mondiale contro le #mutilazionigenitalifemminili
In #Italia si stima che 80.000 donne abbiano subito mutilazioni genitali, tra cui 7.000 minori.
✊ Per contrastare questa grave violazione dei #dirittiumani, occorre #formazione
https://t.co/vbZZ7uqsz8#iss pic.twitter.com/yqd0sfcG0I— Istituto Superiore di Sanità (@istsupsan) February 6, 2025
Oltre la metà dei medici interpellati ritengono ancora, erroneamente, che le mutilazioni siano legate a un credo religioso. Ma nessuna religione al mondo prescrive la pratica. Il 70% degli intervistati confessa di non avere informazioni sufficienti per indirizzare le pazienti verso strutture specializzate. Le false credenze più diffuse tra i medici sulle MGF riguardano anche la presunta minore gravità delle mutilazioni della sola clitoride, si tratta comunque di una violazione del diritto delle donne e quindi violenza di genere. Le mutilazioni sono praticate da persone con qualsiasi grado di istruzione status sociale, non sono praticate solo in Africa e anche se praticate in una struttura ospedaliera comportano sempre un trauma psicologico e fisico ingiustificato, soprattutto perché praticate su bambine o preadolescenti.
Le Mutilazioni Genitali Femminili sono una violazione dei diritti umani.
Nella Giornata internazionale della tolleranza zero per le #mutilazionigenitalifemminili, chiediamo la fine di questa pratica dannosa e la salvaguardia di tutte le donne comprese le #rifugiate#endFGM pic.twitter.com/thk3HTth7E
— UNHCR Italia (@UNHCRItalia) February 6, 2025
“Questa pratica è purtroppo una realtà che ci riguarda anche da vicino. Il fenomeno non conosce confini e coinvolge circa 80mila donne, tra cui 7mila minori anche nel nostro paese, spesso invisibili nella loro sofferenza. Le mutilazioni genitali non sono solo una grave violazione dei diritti umani, ma anche un problema sanitario che richiede il nostro massimo impegno”, ha affermato il presidente dell’Iss Rocco Bellantone.
“Questo evento rappresenta un passo cruciale verso la costruzione di una rete nazionale che non solo diffonda consapevolezza, ma offra soluzioni concrete per la prevenzione e il trattamento delle conseguenze delle MGF e che possa agire su tutto il territorio nazionale con la collaborazione della medicina territoriale e della Croce Rossa. L’idea è di proporre al Dipartimento pari Opportunità che si occupa attivamente della questione un Osservatorio Nazionale, una attività di formazione degli operatori sanitari inclusi i mediatori culturali e di comunicazione”, dice Walter Malorni direttore scientifico del Centro per la Salute globale della Università Cattolica.