Secondo un recente rapporto pubblicato dall’Ufficio del Copyright degli Stati Uniti (US Copyright Office): le opere generate interamente dall’intelligenza artificiale, senza un decisivo intervento dell’uomo, non possono essere tutelate dal diritto d’autore.
Dagli Stati Uniti arriva un segnale chiaro per quanto riguarda il rapporto tra creatività, intelligenza artificiale e copyright.
Secondo un recente rapporto pubblicato dall’Ufficio del Copyright degli Stati Uniti (US Copyright Office): le opere generate interamente dall’intelligenza artificiale, non possono beneficiare della protezione del diritto d’autore.
Questa decisione, segnato un punto di svolta storico ed avrà significative conseguenze per artisti, musicisti e creator che impiegano strumenti di IA nella loro produzione.
Il documento chiarisce che, affinché un’opera sia idonea al copyright, deve includere un contributo creativo umano rilevante.
Sebbene l’intelligenza artificiale possa fungere da supporto nel processo artistico, la protezione legale viene concessa solo se un autore in carne e ossa ha un ruolo determinante nella scelta degli elementi espressivi che caratterizzano l’opera.
La Direttrice dell’US Copyright Office, Shira Perlmutter, ha sottolineato che attribuire il diritto d’autore a creazioni in cui le scelte creative sono affidate a una macchina andrebbe contro i principi fondamentali della normativa vigente e questo: “minerebbe piuttosto che promuovere gli obiettivi costituzionali del diritto d’autore”.
In sostanza, limitarsi a premere un pulsante per generare un testo, una canzone o un’immagine non può essere considerato un atto creativo e quindi non può meritare una tutela legale.
Senza un intervento umano sostanziale, determinante e caraterizzante, il copyright non può essere riconosciuto.
Questa decisione rappresenta un duro colpo per chi sperava di guadagnare dalla commercializzazione di opere interamente prodotte dall’intelligenza artificiale.
Le piattaforme e i servizi basati sulla monetizzazione di contenuti generati da IA potrebbero dover rivedere profondamente le loro strategie, dato che la legge non permette di registrare il copyright su brani, immagini o testi creati esclusivamente da algoritmi, indipendentemente da chi avvii il processo di generazione.
Per molti artisti e musicisti, per coloro che fanno della creatività la loro cifra stilistica e si sentivano in qualche modo ‘minacciati’ dall’Ia, invece, questa non può che essere considerata una notizia positiva.
La piattaforma di streaming Deezer, ad esempio, ha già sviluppato una tecnologia per identificare brani musicali prodotti dall’intelligenza artificiale.
Tuttavia, resta aperta la questione dell’uso di opere protette per addestrare i modelli di IA, un tema ancora privo di una regolamentazione chiara.
Tornando alla legislazione in Europa, nel Regno Unito la discussione è accesa.
Una proposta di legge, se approvata, consentirebbe alle aziende di sfruttare liberamente qualsiasi materiale disponibile per addestrare i propri modelli di IA, senza richiedere autorizzazioni preventive, rivoluzionando il rapporto tra arte, copyright e IA.
Gli artisti che non vogliono che le loro opere vengano utilizzate dovrebbero esprimere esplicitamente il loro dissenso.
Questa prospettiva ha suscitato numerose critiche e ha portato alla nascita di una protesta collettiva da parte di oltre 1.000 artisti.
Uno dei volti principali di questa iniziativa è Ed Newton-Rex, compositore e ideatore del progetto ‘Is This What We Want?’, un album pubblicato su Spotify con la collaborazione di cantanti come Kate Bush e Annie Lennox.
Il disco è composto da 12 tracce di silenzio, registrate in studi vuoti, un modo simbolico per sensibilizzare il pubblico sul rischio che l’arte venga svuotata della sua componente umana.
Il tema è: che fine può fare l’arte senza la creatività dell’uomo? Può esistere? Può chiamarsi ancora ‘arte’?
A livello europeo, il dibattito sulla tutela del diritto d’autore si concentra sulla seconda bozza del ‘General-Purpose AI Code of Practice.
Questo documento è stato oggetto di forti critiche perché ritenuto troppo generico: invece di imporre alle aziende di ottenere autorizzazioni per l’uso di contenuti protetti, suggerisce solo di adottare ‘sforzi ragionevoli e proporzionati’ per rispettare le normative, e forse, questo, è davvero troppo poco.
Un testo legato molto al buon senso, ma poco alla legge.
Al momento, non esiste una regolamentazione univoca e le leggi esistenti sono in fase di aggiornamento per adattarsi ai rapidi cambiamenti della tecnologia.
La tensione tra creatività, tecnologia ed innovazione, continua quindi a salire rendendo il tema sempre più cruciale a livello legale, politico e culturale.
Gli artisti chiedono norme chiare e incisive per proteggere il loro lavoro, evitando che l’intelligenza artificiale si trasformi in una minaccia per il futuro dell’arte e che un giorno, possa magari, sostituirsi a loro.