“Com’eri vestita”, Amnesty mette in mostra gli abiti indossati durante lo stupro

“Con questa mostra vogliamo scardinare il pregiudizio che in uno stupro ci può essere una corresponsabilità da parte della donna”, Patrizia Sacco, responsabile gruppo XV Amnesty International Roma.

Felpa nera, jeans chiari, un maglione a collo alto e pantaloni blu, maglietta rossa e gonna scozzese, una tuta da ginnastica.

La mostra “Com’eri vestita?” allestita al Macro di Roma, risponde alla domanda che troppo spesso sentiamo fare alle donne che denunciano uno stupro, si chiama vittimizzazione secondaria, un atteggiamento che mette sul banco degli imputati la vittima, come se esistesse un abbigliamento che giustifica la violenza. Amnesty International Italia in collaborazione con il II municipio ha voluto riproporre la mostra itinerante.

Patrizia Sacco, responsabile gruppo XV Amnesty International Roma, ha dichiarato a TeleAmbiente: “Si tratta di una mostra internazionale, questa è la versione italiana che ne abbiamo fatto perché vogliamo scardinare il pregiudizio che in uno stupro ci può essere una corresponsabilità da parte della donna, una corresponsabilità che certe volte viene attribuita al fatto di proporsi in una maniera troppo provocante. Esponendo gli abiti che sono stati indossati dalle donne che sono state violentate, nel momento in cui hanno subito questa aggressione, vogliamo dimostrare che anche vestendosi nella maniera più banale e più normale si può essere soggetti alla violenza sessuale, che non esiste una corresponsabilità della donna, e anche ammesso che la donna avesse un modo di porsi più provocante questo non può essere assolutamente considerato come un’attenuante o una corresponsabilità.

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