L’analisi dei problemi e delle possibili soluzioni da parte di Stefano Vietina, autore di vari libri su piccole e grandi realtà imprenditoriali nell’area delle Dolomiti.
Stefano Vietina, giornalista e scrittore toscano ma veneto d’adozione, in vari libri ha analizzato e raccontato storie di successo occupazionale nelle aree montane soggette allo spopolamento. Un fenomeno che va avanti da decenni ma per cui c’è ancora una piccola speranza di un’inversione di tendenza. Stefano Vietina affronta le principali problematiche delle aree di montagna ma propone anche possibili soluzioni.
“Le temperature sempre maggiori favoriscono il trasferimento dalla città alla montagna, ma ovviamente questo non basta perché ci sono diverse criticità, in primis i collegamenti e i presidi sanitari. I tagli alla sanità, in montagna, hanno un impatto ancora maggiore che in città, perché se vivo in un paesino e per caso dovessi avere un infarto, e so che il primo presidio a un’ora-un’ora e mezzo dalla mia casa, è chiaro che inizio a titubare. Devi anche renderti conto che hai un tipo di istruzione che alle elementari o alle medie può essere simile alle altre zone, ma che già dalle superiori offre molte meno possibilità di studio rispetto alle città” – ha spiegato Stefano Vietina – “C’è poi una prerogativa fondamentale, quella dei servizi Internet: dal mio punto di vista, se hai più problemi di collegamenti fisici, devi cercare di risolvere quelli dei collegamenti virtuali. Un altro aspetto fondamentale riguarda gli investimenti, in primis quelli legati al turismo dello sci: l’impiantistica è un traino fondamentale, ma c’è chi la vede come una sorta di distruzione del paesaggio. Eppure gli impianti possono avere anche un impatto minimo, poiché possono essere portati avanti con energia rinnovabili, possono essere inseriti in un contesto montano senza grossi problemi e possono essere eliminati se l’attività non dovesse essere più valida dal punto di vista economica“.
“Cosa si potrebbe fare per avere più posti di lavoro in montagna? In primis tornare all’antico, alla manutenzione dei boschi. Quando penso ai lavori socialmente utili, mi chiedo perché non ci sia nessuno che organizzi lavori che consentono di imparare a entrare nel bosco, seguire una certa operatività, individuare gli alberi da tagliare e come tagliarli, ripulire i boschi. Ormai i boschi hanno riempito quelle che un tempo erano aree di pascolo e non ci sono più le fasce di protezione: gli alberi non dovrebbero essere più vicini di cinque metri al ciglio stradale o ad una linea elettrica” – aggiunge il giornalista e scrittore – “Invece è successo ripetutamente, non solo con la tempesta Vaia ma anche in precedenza, che gli alberi sono caduti sulle linee elettriche, bloccando per giorni l’erogazione di corrente con la neve che poi è caduta al di sopra. In Comelico servivano squadre di operatori che però non erano disponibili, per questo siamo rimasti senza luce per giorni. Se ci fosse stata una manutenzione come quella che facevano i montanari di un tempo, queste problematiche sarebbero state minori“.
“In città si piange quando cade un albero, perché si pensa al grande danno causato all’ambiente. Vaia, su in montagna in Comelico, ha fatto grandi danni eccessivi proprio perché gli alberi non erano stati tagliati. In un bosco, per far sì che sia ben manutenuto, occorre tagliare gli alberi più vecchi: sono quelli che impediscono agli alberi giovani di crescere. Tolgono aria, luce, acqua agli alberi che devono crescere” – il punto di Stefano Vietina – “Nel momento in cui arriva una grande tempesta, l’albero vecchio è il primo a crollare e quando cade si trascina dietro tutta una serie di alberi giovani, che non hanno più speranza. Il problema vero è quello di fare manutenzione, in modo che il bosco possa crescere in modo equilibrato e non ha importanza che vengano tagliati gli alberi, anzi, è un bene. Gli alberi tagliati in montagna, se fatto ovviamente in un certo modo, sono un beneficio“.