Home Attualità Moda, Pichetto Fratin: “Meno fast fashion, più design sostenibile e circolare”

Moda, Pichetto Fratin: “Meno fast fashion, più design sostenibile e circolare”

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“Intendiamo compiere insieme passi significativi e concreti lungo l’intera catena del valore del tessile e della moda”. Le parole del ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin per promuovere una filiera più sostenibile e allontanarsi dal modello del fast fashion.

“Ci troviamo di fronte sfide importanti. Puntiamo a valorizzare il design sostenibile e circolare per facilitare la longevità, la non tossicità dei prodotti e dei materiali e la loro riciclabilità, depotenziando in tal modo il modello fast fashion e riducendo la produzione di rifiuti e l’inquinamento”.

Queste le parole del ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, intervenuto al Maxxi a Roma all’appuntamento del G7 Alliance on Resource Efficiency per un’Agenda volontaria comune sul tessile e la moda circolare.

“Intendiamo promuovere un mix di strumenti, regolatori e non, per il riuso, la riparazione e il riciclo – spiega – Riteniamo essenziale garantire la chiarezza, la trasparenza e la tracciabilità delle informazioni sui prodotti e sui materiali lungo l’intera catena del valore per contrastare il fenomeno del greenwashing e del lavoro minorile.

E aggiunge: “Intendiamo compiere insieme passi significativi e concreti lungo l’intera catena del valore del tessile e della moda, verso un futuro più sostenibile, etico e circolare a livello globale. Sono lieto di dare il via al programma di questa giornata che prevede il contributo attivo di alcuni fra i più importanti protagonisti globali del cambiamento dei nostri modelli di produzione e di consumo, con particolare riferimento al settore del tessile e della moda, verso una maggiore sostenibilità e circolarità“.

Tassare i brand di fast fashion: il disegno di legge in Francia

Il fenomeno del fast fashion, al quale sono collegati noti brand come Shein, H&M, Zara, Temu, Primark, è uno dei principali responsabili dell’impatto ambientale legato al settore del tessile.

Il 14 marzo 2024, l’assemblea nazionale francese ha approvato una proposta di legge che prevede l’introduzione in Francia di una tassa per i venditori di prodotti di fast fashion all’interno del paese.

La Francia si fa così pioniere nell’adozione di misure legislative volte a mitigare l’impatto ambientale derivante dal mercato dei capi di abbigliamento di fast fashion.

La proposta di legge n. 2129 è stata presentata a fine febbraio dalla parlamentare Anne-Cécile Violland, del partito di centro destra Horizons et apparentés.

Tra le principali misure previsto il divieto di pubblicità per i tessuti economici e l’introduzione di una tassa ambientale da applicare sui prodotti del fast fashion, rappresentando così un importante passo verso un settore tessile più sostenibile.

Temu e Shein nel mirino della Ue

L’Unione Europea prepara una stretta contro il crescente flusso di pacchi provenienti da e-commerce asiatici come Temu e Shein, tale da sfuggire in gran parte ai controlli doganali dell’UE.

Il commissario europeo per il commercio, Maroš Šefčovič, ha dichiarato che quest’anno sono spediti nell’UE circa 4 miliardi di pacchi di basso valore, quasi il triplo rispetto al 2022. Il volume elevato e il fatto che molti di questi pacchi siano sotto la soglia di 150 euro per l’applicazione dei dazi doganali fanno sì che la maggior parte non venga controllata, alimentando l’importazione di merci pericolose, come giocattoli tossici. Negli scorsi mesi, Bruxelles ha già proposto di eliminare la soglia di 150 euro al di sotto della quale i pacchi sono esenti da dazi doganali.

Le misure prese in considerazione dalla Commissione Ue, includono una nuova tassa sulle entrate degli e-commerce e una tassa di gestione amministrativa per articolo che renderebbe la maggior parte delle spedizioni meno competitive.

 

Fast fashion, qual è la situazione in Italia?

Se è vero che in Italia Amazon è l’e-commerce più utilizzato,  Shein, e soprattutto Temu, colossi del fast fashion, continuano ad attrarre più utenti del second hand, nonostante il successo di piattaforme come Vinted. Questi sono i dati che emergono dalla mappa dei marketplace 2024 della piattaforma Yocabè.
E come se non bastassero Shein e Temu, anche Amazon ha deciso di puntare sul low-cost, per ora solo negli Stati Uniti, con lo store online Amazon Haul. 

Ma in Italia sarebbe possibile tassare i brand di fast fashion per i loro prodotti?

“Credo sia molto difficile far passare un messaggio di questo tipo quando in Italia ancora non c’è la consapevolezza che abbiamo un grosso problema. – afferma l’onorevole Emma Pavanelli, portavoce MoVimento 5 Stelle alla Camera dei deputati Commissione attività produttive Mancano delle normative che stiamo aspettando da alcuni anni. Non c’è ancora questo concetto nell’immaginario collettivo, questo senso di avere una responsabilità. Uno pensa, voglio acquistare un paio di jeans perchè me lo dovresti vietare o incrementare i costi? Serve che i media ne parlino, anche se siamo in ritardo rispetto ad altri paesi come l’Inghilterra e la Francia“.

Qual è il problema della fast fashion?

La fast fashion è un modello di business nato negli anni ’80 che letteralmente significa “moda veloce“. Le aziende hanno iniziato a produrre un numero sempre maggiore di collezioni con l’obiettivo di realizzare prodotti di tendenza e di renderli disponibili al consumatore nel minor tempo possibile e minimizzando i costi.

Il basso costo del prodotto spinge il consumatore ad acquisiti sempre più frequenti, senza pensare a ciò di cui ha realmente bisogno. Si innesca così un circolo vizioso, alimentato soprattutto dallo shopping online e dalla possibilità di resi, attività da fare con un semplice click.

Ci si è resi conto della pericolosità di questo modello di business e di chi paga realmente il basso prezzo della fast fashion subito dopo la tragedia di Rana Plaza, a Dacca, Bangladesh, con il crollo di una palazzina di otto piani dove erano collocate 5 diverse fabbriche tessili di abbigliamento per marchi internazionali. Nel crollo dell’edificio morirono 1.129 persone e ne rimasero ferite più di 2.500.

Dove finiscono i nostri abiti usati? In Ghana. Dal 2023 è la discarica di vestiti più grande al mondo: ne arrivano 15 milioni ogni settimana. La causa principale? Il fast fashion, la moda veloce, e in questo speciale vi spieghiamo perché.