"Il problema non è tanto sulla specie, ma la modalità in cui il singolo individuo in qualità di essere senziente viene sfruttato", Simone Pavesi (LAV).

Moda, il dossier della LAV: “Poca trasparenza nella filiera delle pelli esotiche”

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“Il problema non è tanto sulla specie, ma la modalità in cui il singolo individuo, in qualità di essere senziente, viene sfruttato”, Simone Pavesi (LAV).

Le certificazioni sono sufficienti a garantire che un capo, comprato anche a caro prezzo, sia stato realizzato rispettando la dignità dei lavoratori, la tutela dell’ambiente e il benessere degli animali?

L’argomentazione più utilizzata per giustificare l’utilizzo di pelle ricavata da animali “esotici” è che si tratta di “sottoprodotto della industria alimentare”.

Dal dossier “Pelli esotiche” dell’associazione LAV, emerge chiaramente come i pochi standard industriali (le cosiddette “Certificazioni Responsabili”) che dovrebbero rassicurare brand e consumatori circa l’eticità del trattamento degli animali (coccodrilli, alligatori, caimani, serpenti, struzzi, ecc.) allevati o catturati in natura, in realtà mancano totalmente di trasparenza (i protocolli gestionali non sono resi pubblici).

Con questo rapporto abbiamo voluto mettere in evidenza quelli che sono i tentativi di accreditamento dell’industria che sfrutta queste specie animali verso i consumatori, ossia, etichette di sostenibilità e di certificazione della filiera, che possano far pensare che esiste dietro un buon trattamento degli animali. Quello che è emerso è la totale mancanza di trasparenza.spiega a TeleAmbiente Simone Pavesi, Responsabile LAV Area Moda Animal Free Questi standard industriali che vanno a disciplinare le pelli di coccodrillo o di struzzo o altri, non sono resi pubblici. È evidente che un prodotto, immesso sul mercato, realizzato con una componente di origine animale, non può violare le disposizioni CITES, perchè altrimenti sarebbe illegale. Quindi, andare a scrivere che il prodotto è conforme alle disposizione CITES è una cosa che non ha molto senso perchè l’azienda non potrebbe nemmeno venderlo”.

E aggiunge: “CITES è una convenzione internazionale che va a regolamentare il commercio delle specie, e dei materiali che ne derivano, sia animali che vegetali, che sono classificate in via d’estinzione”.Ma il problema non è tanto sulla specie, ma la modalità in cui il singolo individuo, in qualità di essere senziente, viene sfruttato.- conclude Pavesi – Spesso quando si parla di pelli esotiche si fa riferimento ad animali che vivono in natura. La cattura di un pitone in Malesia o Indonesia, come viene gestito, fino al punto di uccisione e macellazione, non sono verificabili, oltre che cruenti”.

Benessere animale, cosa stanno facendo i grandi brand di moda?

“Sulla strada della dismissione delle pellicce abbiamo visto anno dopo anno aggiungersi tanti brand, ma c’è ancora tanto da fare, specie su pelli, piume e su tutti gli altri filati”, aveva spiegato sempre Simone Pavesi in un’intervista rilasciata a TeleAmbiente.

Sulla strada della dismissione delle pellicce abbiamo visto anno dopo anno aggiungersi tanti brand, come Gucci, Versace, Prada, Valentino e Dolce&Gabbana, ma c’è ancora tanto da fare, specie su pelli, piume e su tutti gli altri filati. – spiega Simone Pavesi – L’impegno delle aziende dichiarato pubblicamente, rispetto agli obiettivi dell’Agenda 2030, è una leva utile per convincere e spiegare alle aziende la necessità di smettere queste produzioni, in favore di next-gen materials, materiali sostenibili di nuova generazione già oggi disponibili e animal free”.

L’inchiesta su moda e pelli esotiche di “Indovina chi viene a cena”

Se da una parte molti brand hanno eliminate le pellicce dalle loro collezioni grazie alla spinta della società civile, dall’altra molti mantengono ancora le pelli esotiche. La ragione? Grandi margini di guadagno. Una borsa di coccodrillo può arrivare fino a 25mila euro. Un guadagno ma sulla pelle di chi? Questo è l’oggetto dell’inchiesta di “Indovina chi viene a cena”, il programma di Rai3 condotto da Sabrina Giannini. 

Produrre costosi “accessori” di moda con la pelle e la pelliccia di animali, uccisi e torturati, come mostrano le immagini diffuse dall’associazione animalista PETA (People for the Ethical Treatment of Animals).

 

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