Microplastiche, sviluppato un nuovo metodo per individuarle nei cibi

Microplastiche, sviluppato un nuovo metodo per individuarle nei cibi

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Microplastiche in pesci e molluschi, una ricerca dell’Università del Salento ha sviluppato un metodo per rintracciarle.

Pericolose per l’ambiente e la salute umana, le microplastiche si trovano ovunque e, tramite ingestione o inalazione, possono finire anche all’interno del nostro organismo.

Secondo l’ultimo rapporto della Commissione Ue “Future Brief”, un adulto ingerisce o inala dalle 39.000 alle 52.000 particelle di microplastica all’anno. Una quantità pari a 5 gr di plastica a settimana, l’equivalente di una carta di credito.

Le minuscole particelle quindi, possono finire nel nostro corpo tramite il cibo, come pesce e molluschi.

Il nuovo studio dell’Università del Salento ha sviluppato, per la prima volta, un metodo per quantificare la presenza di microplastiche negli organismi marini, che potrebbero poi finire sulla nostra tavola.

A mettere a punto il sistema di rilevamento dei frammenti in plastica, il gruppo di Chimica Analitica dell’Università del Salento, coordinato dal professor Cosimino Malitesa e con il contributo del professor Giuseppe De Benedetto e della dottoressa Silvia Fraissinet, in collaborazione con colleghi dell’Institute for Marine and Atmospheric Research dell’Università di Utrecht.

Individuare particelle così piccole rappresenta una ancora una sfida aperta, non solo perché è necessaria una strumentazione in grado di trovare frammenti di dimensioni così ridotte, ma anche perché una volta trovate, vanno distinte da altre particelle di grandezze analoghe già presenti in natura (come frammenti dall’erosione di materiale roccioso). Le micro e nanoplastiche derivano dalla frammentazione dei rifiuti plastici nelle condizioni ambientali più comuni e per questo rappresentano un problema da considerare sempre di più, vista la semplicità con cui penetrano nel suolo, nell’acqua e negli organi umani.

Micro e nanoplastiche, scoperti in grandi quantità in pesci e molluschi

Ciò che hanno scoperto gli scienziati analizzando i mitili destinati al consumo alimentare è che non solo in tutti i campioni c’erano nanoplastiche, ma anche che quelle di dimensioni da 20 a 200 nm erano particolarmente abbondanti.

Lo studio, pubblicato su Communications Earth & Environment, ha individuato anche la composizione chimica delle nanoplastiche trovate in pesci e molluschi: 38% di PE, 28% polipropilene, 17% PVC, 12% polistirene, 5% polibutadieni.

I dati emersi dallo studio sottolineano quanto sia necessario un controllo sul ciclo dei vita dei materiali, visto che le nanoplastiche possono attraversare le barriere biologiche e avere effetti sulla salute umana, anche come vettori per altri inquinanti.

Il rischio di ingerire microplastiche dunque, è sempre più concreto. Una ricerca effettuata dall’Università di Tor Vergata, aveva lanciato l’allarme proprio sull’inquinamento da plastica presente nella zona del Tirreno dove sfocia il Tevere. L’analisi era stata effettuata nei fondali proprio alla foce del fiume, evidenziando una grande quantità di microplastiche.

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