Tante cose non tornano nello sversamento di petrolio che sta decimando la biodiversità.

Marea nera in Perù, la fuoriuscita di petrolio potrebbe non essere dovuta allo tsunami causato dall’eruzione sottomarina a Tonga. Le autorità del Paese stanno indagando su una seconda fuoriuscita, avvenuta a ridosso della raffineria La Pampilla, gestita dalla compagnia petrolifera Repsol. Jorge Luis Prado, ministro peruviano della Produzione, ha spiegato: “La seconda fuoriuscita potrebbe essere un ‘ritardo’ della prima ma la situazione è preoccupante. Il danno è notevole, servono indagini serie“. Il ministro ha anche smentito che lo sversamento sia avvenuto dalle petroliera italiana Mare Doricum, ma restano tanti i dubbi. L’azienda Fratelli D’Amico, che gestisce la nave, ha infatti ammesso che la fuoriuscita del 15 gennaio è dovuta alla rottura di una condotta sottomarina. Secondo Repsol, l’incidente sarebbe avvenuto a causa dello tsunami, ma anche questo è tutto da verificare. Secondo alcune testimonianze, al momento dell’incidente il mare era ancora calmo.

Le responsabilità di Repsol riguardano anche le operazioni di bonifica, partite troppo tardi. Per ovviare al problema, molti residenti hanno affiancato la Marina militare peruviana, iniziando a pulire le spiagge a mani nude, quasi sempre senza attrezzatura idonea ad evitare contaminazioni. L’intervento dei marinai era scattato solo il 24 gennaio, dopo il fallimento degli interventi di Repsol messi in atto su ordine del Governo di Lima. Il 22 gennaio, una settimana dopo il disastro, la marea nera si estendeva su circa 2 km² di costa e su 7,1 km² di mare. Oceana Perù ha duramente attaccato Repsol: “Come è possibile che nel bel mezzo dell’allerta tsunami lungo tutta la costa del Pacifico, abbia continuato a scaricare carburante in mare? Perché i nostri sistemi di allerta sono così deboli e inefficienti? Nei primi quattro giorni dopo il disastro ambientale non sono state prese misure“.

Perù, devastante sversamento di petrolio causato dall’eruzione del vulcano di Tonga

Repsol ha anche spiegato di aver esplorato l’area dell’incidente con pattuglie, barche e droni, notando solo piccole tracce di petrolio. In realtà, il greggio fuoriusciva sul fondale ed è emerso in superficie solo il giorno dopo il disastro, inquinando chilometri di mare, uccidendo un numero incalcolabile di animali e paralizzando le attività ittiche e turistiche, nel bel mezzo dell’estate. La compagnia petrolifera è accusata anche di aver applicato male il protocollo d’emergenza per la raffineria di La Pampilla, assumendo pescatori a basso costo e senza protezioni per pulire le coste e il mare. La stessa Repsol ha ammesso che la bonifica non sarà conclusa prima della fine di febbraio e, nella zona più vicina alla raffineria, i residenti hanno iniziato a pulire le spiagge a mani nude, con pesanti rischi per la loro stessa salute.

Come spiega Umberto Mazzantini per Green Report, la credibilità di Repsol lascia molto a desiderare: solo in Perù, negli ultimi 13 anni, la compagnia petrolifera ‘vanta’ una storia di pessime pratiche e non è la prima volta che, di fronte a fuoriuscite di petrolio, le informazioni e le rassicurazioni si sono rivelate infondate. Intanto, sono già state avviate indagini da parte della Marina militare in vista di una causa civile del Perù contro Repsol per il risarcimento dei danni. “Sono già avviate azioni penali, civili e amministrative a tutela della sovranità e del benessere del nostro Paese“, ha spiegato il presidente della Repubblica, Pedro Castillo.

Tra le aree più colpite ci sono 21 spiagge e due aree naturali protette in cui vivono diverse specie a rischio, tra cui pinguini, cormorani, lontre e pesci. Recuperare gli animali senza mezzi adeguati è impossibile, così come lo è fare una stima sugli esemplari uccisi dalla marea nera. Ben 41 associazioni ambientaliste del Perù, in un comunicato congiunto, hanno dichiarato: “La fuoriuscita non è stata contenuta in modo tempestivo e questo ha stroncato la biodiversità e le attività economiche. Le autorità ora si attivino concretamente per evitare che gli ecosistemi, la fauna marina e le risorse idrobiologiche siano ulteriormente colpiti. Potremo riuscire a far scomparire la marea nera, ma la contaminazione da metalli pesanti continuerà a colpire tutto l’ambiente. Per questo è necessario creare un precedente affinché un disastro di questa portata, generato dall’azione umana, non danneggi nuovamente il nostro patrimonio naturale“.