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Abiti di fast fashion sommergono i centri di donazione per le vittime degli incendi di Los Angeles

Scena di abiti di fast fashion donati nei centri di raccolta a Los Angeles, dove le donazioni supportano le vittime degli incendi.

Accanto all’emergenza incendi che ha colpito Los Angeles, viene fuori un altro aspetto della nostra società: la sovrapproduzione e il consumo eccessivo. Molti degli abiti donati alle vittime degli incendi sono capi di fast fashion.

L’emergenza incendi a Los Angeles sta rientrando, ma non è ancora finita. Ora c’è una nuova allerta, quella per la salute dei cittadini, tra l’altro confermata dallo stato d’emergenza sanitaria dichiarato dalle autorità lo scorso 10 gennaio.

I devastanti incendi di Los Angeles hanno lasciato i residenti senza loro i beni e le loro case. Tante le persone che hanno deciso di donare nei centri di raccolta di articoli per le vittime degli incendi anche migliaia di chili di vestiti usati.

I centri di donazione sono stati letteralmente sommersi da montagne di vecchi vestiti. Il problema? “Gran parte dei vestiti donati è probabilmente di bassa qualità, fast fashion che non dura a lungo o non è utile per i destinatari bisognosi.  ha detto a Business of Fashion Rachel Kibbe, CEO di Circular Services Group. – Questa crisi è solo un esempio delle sfide più ampie che affrontiamo con la sovrapproduzione, il consumo eccessivo e le infrastrutture insufficienti per gestire i rifiuti di abbigliamento in modo responsabile”.

@maryna_bogdan Turn up at your local donation center #lafires #fire #losangeles ♬ take a moment to breathe. – normal the kid

Inizialmente ci si aspettava che nei centri arrivassero beni di prima necessità, come lenzuola o coperte, ma tra le donazioni, sicuramente mosse da buone intenzioni, molte persone hanno deciso di portare capi, la maggior parte di bassa qualità. Parliamo di quegli abiti prodotti da brand di fast fashion, utilizzabili per poco tempo ed acquistati per i loro prezzi stracciati. Questo ha portato numerosi centri di raccolta a prendere la decisione di smettere di accettare abbigliamento usato.

L’organizzazione Open Closit ha pubblicato un post su Instagram specificando chiaramente quali articoli sono veramente necessari.

 

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Di fronte ad un’emergenza come quella che ha colpito Los Angeles, viene fuori anche un altro aspetto della nostra società, quello del consumismo sfrenato e della sovrapproduzione. Tutto ciò alimenta una filiera che possiamo definire devastante per l’ambiente e la nostra salute. E non solo. Dietro a quella maglietta dal costo di 5 euro, il vero prezzo viene pagato da chi c’è dietro, sfruttato per assecondare i continui bisogni della società, i trend di consumo e le richieste dei consumatori.

La verità di ciò che accade nelle fabbriche cinesi che alimentano il successo di Shein, uno dei colossi del fast fashion, l’ha rivelata un’ultima indagine della BBC

Kantamanto, anche il più grande mercato di abiti usati distrutto da un incendio

Prima degli incendi che hanno devastato Los Angeles, un altro grande incendio ha distrutto il più grande mercato di vestiti usati, Kantamanto, ad Accra in Ghana.

Le fiamme hanno ridotto in cenere il centro dell’economia del paese. Il mercato di Kantamanto, che ospitava oltre 30.000 commercianti, sembrava un’ancora di salvezza per l’economia locale ma, in realtà, rappresenta uno dei principali pericoli per la stesse comunità locali.

Il Ghana, infatti, è la seconda destinazione di abiti di seconda mano provenienti dal continente europeo. L’Italia è la nona esportatrice a livello mondiale, terza in Europa, dietro a Belgio e Germania. Soltanto nel 2022 dal Belpaese sono arrivate in Ghana quasi 200 mila tonnellate di indumenti usati. Tra i primi dieci brand di capi invenduti nel mondo, però, ci sono tutti marchi del fast fashion, come H&M, Zara, Primark e Shein.

Quasi la metà dei vecchi vestiti che arrivavano a Kantamanto era, infatti, invendibile. Parliamo di circa 15 mln di vecchi abiti ogni settimana, come afferma un’ultima indagine di Greenpeace, che denuncia l’impatto di questi indumenti provenienti dal nord del mondo su ambiente, comunità ed ecosistemi del paese dell’Africa occidentale.

Il problema dell’enorme volume di vestiario prodotto nel nord del mondo e il fatto che non ci siano strutture preparate per gestirne in maniera adeguata lo smaltimento, dovrebbe spingere a ripensare le nostre abitudini. A ciò si aggiunge la presenza di abiti di qualità molto bassa del fast fashion, prodotti ad una velocità smisurata, più di quanto riescano a vendere.