“Il mio messaggio è trasmettere che dagli scarti può nascere qualcosa di bello e di utile, avere una seconda vita, sensibilizzando sul tema del riciclo”. Video intervista a Letizia Lanzarotti, Ladybe, l’artista che realizza mosaici con oggetti riciclati.
Letizia Lanzarotti, in arte Ladybe, è una pittrice-scultrice romana che ha deciso di unire la sua passione per l’arte con il suo impegno per la tutela dell’ambiente. Le sue opere sono realizzate con oggetti di riciclo raccolti e conservati nel tempo.
I suoi mosaici sono ricchi di colori e, se si osservano nel dettaglio, questi piccoli elementi che compongono ogni opera di Ladybe sono tutti diversi, posizionati in modo da dar vita ai tratti del volto di un personaggio del passato, attuale o simbolo di battaglie sociali. Tutto attraverso questa tecnica innovativa reinventando in chiave contemporanea la Pop art.
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Come nasce l’idea di realizzare opere d’arte fatte di oggetti riciclati e quanto tempo c’è dietro questo lavoro?
Sono 10 anni che mi dedico all’arte e da allora la mia idea è stata quella di cominciare a raccogliere plastica nelle spiagge, nei mercatini, nelle scuole. Il mio messaggio ecologico è trasmettere che dagli scarti può nascere qualcosa di bello e di utile, avere una seconda vita, sensibilizzando sul tema del riciclo. Il tempo specifico di un’opera non è quantificabile (la mia raccolta dura da 10 anni). Gli oggetti trovati sono raccolti in sacchi, divisi in base al loro colore e poi spaccati in piccoli pezzi. I mie quadri non sono mai ridipinti ma utilizzati tutti nel loro colore originale. In qualche settimana, o a volte qualche giorno, riesco a realizzare da micro mosaici a quelli più grandi e di forte impatto.
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Come scegli i tuoi soggetti?
Mi piace cercare la particolarità dei volti e dell’espressione ma soprattutto cosa c’è dietro quel personaggio, come la loro vita ha cambiato la storia. Icone o simboli che rispecchiano i nostri miti e idoli.
Il tuo primo quadro Marylin Monroe che valore ha per te?
Racchiude tutti gli oggetti della mia infanzia e adolescenza. Non si tratta solo di plastica o altri materiali di recupero ma anche dei miei ricordi: ognuno ha una storia che si rispecchia negli oggetti che vengono buttati via. La scelta di Marylin Monroe è legata al fatto che l’ho sempre ammirata anche per la sua fragilità, un personaggio inteso non solo come diva ma come tutto ciò che riguarda la sua vita.
Utilizzare l’arte per sensibilizzare il pubblico su tematiche ambientali ma non solo. Con “L’infermiera con l’orecchino di perla” hai voluto omaggiare il lavoro di medici e infermieri nel corso della pandemia.
Mi sembrava doveroso omaggiare le persone che sono stati i nostri soldati, che sono scesi in campo e non si sono tirati indietro. Come artista ho pensato di poter dare nel mio piccolo un contributo. L’opera è stata messa all’asta in beneficenza e il ricavato è stato devoluto all’Ospedale Luigi Sacco di Milano, Ospedale Spallanzani di Roma e Policlinico San Matteo di Pavia. Il quadro è diventato anche la copertina del libro “Covid-19 – Il Virus della Paura” uscito venerdì 24 aprile.
Sullo stesso tema ho realizzato il ritratto di Li Wenliang, il medico 34enne che per primo lanciò l’allarme sulla comparsa nel Paese di una pericolosa serie di casi di polmonite, ma fu accusato dalla polizia locale di diffondere notizie false e allarmistiche. Ho voluto intitolare l’opera “Il medico che morì due volte“. Un messaggio sociale per denunciare anche tutto questo.
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Cosa ha riguardato la polemica con il noto street artist Bansky?
Ho realizzato l’opera a marzo e a fine aprile è arrivato questo murales di Bansky, artista che stimo molto. Solitamente, come faccio anche io, gli artisti prendono ispirazione da soggetti già noti perché così è più facile mandare messaggi nella Pop Art. Ma mi ha sorpreso il fatto che sono usciti tanti articoli e alcuni giornalisti si sono rivolti a me per sapere se si trattasse di plagio. Io non voglio accusarlo, le idee circolano, ma sottolineo che un’opera deve avere un forte messaggio dietro. Io ho pensato ad una giovane infermiera, alla sua ingenuità e sfrontatezza dietro questi occhi azzurri, e l’orecchino di perla che comunque mantiene l’identità di donna, in omaggio all’autore Johannes Vermeer. Unica critica la faccio ad alcuni artisti che sfornano un’opera al giorno: non funziona così, ci deve essere un messaggio forte dietro, un messaggio pensato.
Tra le opere che hai realizzato c’è anche una Barbie rappresentata con il volto sfigurato.
Il mosaico è composto da 70 Barbie che ho scelto per rappresentare la moltitudine di donne che subiscono ogni giorno violenza. Per rimarcare il fatto che ogni violenza va denunciata, ho ritoccato i volti delle bambole con i segni di violenza e i capelli sono stati fatti con tutte le teste di queste barbie. Un’opera che ho realizzata nel 2016 ma tristemente attuale come la violenza domestica, una costante anche in questi mesi di lockdown.
Hai pensato ad altri modi/ tecniche per realizzare opere con recupero di altri materiali?
All’inizio oltre alla plastica ho utilizzato una varietà di oggetti, come stoffa e vetro. Ma la plastica è più duratura, non cambia il suo colore nel tempo. Un scelta ambientalista legata al corretto smaltimento ma anche una scelta stilistica. Ma non mancano le sperimentazioni. Ho realizzato un’opera con i blister e da lì mi è venuta un’altra idea legata al problema dello smaltimento di mascherine e guanti. Quindi un’opera che inviti le persone a fare un corretto smaltimento di questi oggetti introdotti nella nostra quotidianità per non dimenticarci dell’ambiente.
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