Da quasi un anno la Sicilia è alla prese con una ondata di siccità e crisi idrica. Un problema legato al cambiamento climatico ma anche all’atavica assenza di infrastrutture e reti idriche adeguate. Eppure le soluzioni esistono e spesso possono partire dal basso. Vuoi un esempio? Leggi la storia di Daniele Dolci, il “Ghandi siciliano” che portò l’acqua a Partinico.
La Sicilia questa estate è alle prese con una delle ondate di siccità peggiori della sua storia. Colpa del riscaldamento globale ma anche di una generale inadeguatezza delle strutture idriche e dei sistemi di approvvigionamento.
Un problema atavico che non riguarda solo l’isola (secondo un rapporto Istat, nel 2022 il volume delle perdite idriche totali nella fase di distribuzione dell’acqua fu pari a 3,4 miliardi di metri cubi, il 42,4% dell’acqua immessa in rete).
Ma la Sicilia ha sempre pagato un prezzo maggiore. Complici, oltre alla conformazione idrogeologica, è stato spesso un sistema politico e burocratico estremamente farraginoso che ha portato a ritardi e lungaggini nell’approvazione e la creazione di infrastrutture idriche. Lungaggini che in qualche caso sono state evitate grazie all’intervento di attivisti e promotori del cambiamento sociale.
Un esempio? La storia della diga sul fiume Juta e la spinta da parte di Danilo Dolci.
Chi era Danilo Dolci, il “Ghandi siciliano”
Immagina la Sicilia del dopoguerra: una situazione disastrosa da un punto di vista economico, sociale e talvolta anche culturale. Perché alle conseguenze della Seconda Guerra Mondiale si aggiungevano i problemi legati all’assenza quasi assoluta di servizi di base e la presenza assai pervasiva della Mafia.
In questo contesto uno dei beni più carenti era proprio l’acqua. Non ce n’era per irrigare i campi, non ce n’era per lavarsi e a volte non era abbastanza nemmeno per dissetarsi. Per anni si era creduto che l’assenza d’acqua fosse una parte integrante della vita sull’isola e che non si poteva fare niente per cambiare le cose.
Di idea del tutto opposta era Danilo Dolci, un uomo nato nel 1924 a Sesano (oggi in territorio sloveno) e giunto in Sicilia solo nel 1942 quando il padre ferroviere fu chiamato a lavorare a Trappeto, in provincia di Palermo.
In seguito Dolci ricorderà che quello fu il posto in cui vide “la miseria più grande”. Eppure qualcosa lo attrasse di quel luogo. Forse proprio la voglia di fare la differenza. Tanto che nel 1952 dopo diverse esperienze di comunità e socialità decise di trasferirsi proprio a Trappeto.
Qui iniziò il suo lavoro di attivismo sociale che lo portò ad essere conosciuto come il “Ghandi siciliano”. Dolci decise di fare qualcosa di semplice ma allo stesso tempo rivoluzionario: mettere insieme gli abitanti di quel posto e farli parlare, farli discutere. Portare tutti insieme, con la dialettica, a cercare i problemi di quel luogo così da poter provare a pianificare le soluzioni. Insomma, applicare a Trappeto il “metodo socratico”.
Cercare la soluzione alla siccità… attraverso la maieutica
La risposta che arrivò subito sulla bocca di tutti fu una sola: l’acqua. “Qui manca l’acqua”.
Non un problema da niente, insomma. Ma Danilo Dolci era convinto che la soluzione a quel problema stava proprio lì, nelle persone che quei luoghi li vivevano.
Applicando a Trappeto il metodo socratico, Danilo spinse tutti gli abitanti di quel posto a parlare, discutere, dire la propria. Perché lui era convinto che la verità e la risposta di tutte le cose si trovava dentro le persone.
E forse aveva ragione. Fu lui stesso a ricordare questo aneddoto che scrisse nel saggio “Nessi fra esperienza etica e politica”: “Un vecchio contadino, Zu Natale Russo, un giorno disse: ‘Qui d’estate per sei mesi non piove. E si produce poco, o niente. Ma d’inverno piove molto. E l’acqua per gran parte va sprecata. Non si potrebbe raccogliere quell’acqua in un bacile, in un grande bacile, per poi utilizzarla nell’estate’. Aveva reinventata la diga”.
Fu così che Danilo Dolci si mise a capo di un gruppo di persone, uomini e donne del palermitano, che si diedero l’obiettivo di costringere la politica del tempo a finanziare la costruzione di una diga a Partinico, sul fiume Jato, che avrebbe garantito l’accesso all’acqua anche nei mesi più aridi.
Non fu semplice. Servirono lotte nonviolente, proteste e digiuni da parte dei contadini affinché il sistema politico dell’epoca decidesse nel 1956 di concedere i fondi della Cassa del Mezzogiorno per finanziare la costruzione della diga.
Certo, la diga sul fiume Jato non risolse tutti i problemi del territorio ma di sicuro garantì per diversi anni l’accesso all’acqua lì dove sembrava impossibile.
Quella diga è attiva ancora oggi anche se il peggioramento della situazione la sta svuotando di anno in anno.
Eppure questa storia ci ricorda che, spesso, le soluzioni ai problemi del territorio – per quanto difficili – esistono e possono essere implementate. E forse la risposta alla terribile siccità e alla crisi idrica che sta colpendo la Sicilia da mesi ce l’hanno proprio le donne e gli uomini siciliani.