Immagine di una donna che riflette sull'importanza di studiare le cicatrici nel DNA causate dalla violenza sulle donne, in un contesto drammatico.

L’Iss studia le “cicatrici” nel DNA lasciate dalla violenza sulle donne

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L’Istituto Superiore di Sanità è arrivato alla seconda fase del suo studio sulle “cicatrici genetiche” lasciate dalla violenza e lancia un appello alle donne affinché partecipino donando un campione biologico.

Dopo avere dimostrato, nella sua prima fase, la capacità della violenza subita di alterare i geni delle donne, adesso il progetto epi_we (Epigenetics for Women) mira a studiare tali effetti sul DNA femminile per capire quanto tempo durano e come trattarli.

Molte donne vittime di violenza sviluppano delle patologie proprio a causa del trauma subito, comprendere tale meccanismo risulta indispensabile per modellare trattamenti adeguati. L’obiettivo è valutare l’effetto della violenza sull’intero genoma umano, per questo lo studio prenderà in considerazione un numero importante di donne donatrici del DNA.

La seconda fase del progetto parte con la collaborazione dell’Iss con il Ministero della Salute (Ccm) e vede coinvolte 5 Regioni, Lazio, Lombardia, Campania, Puglia e Liguria e sette unità operative. Le donne vittime di violenza verranno informate della possibilità di donare un campione biologico e di tornare a farlo a distanza di tempo. Verranno seguite per almeno 18 mesi con un campione raccolto ogni sei mesi. In questo modo potrà essere valutato il loro benessere psicofisico in ogni fase.

“Quello che stiamo dimostrando a livello territoriale – spiega Simona Gaudi coordinatrice di epi_we ricercatrice del Dipartimento Ambiente e Salute – è che la violenza influisce sulla salute del genoma in un modo tale che i suoi effetti a volte si manifestano 10-20 anni dopo. Questo ci dicono i dati. Ma a noi vogliamo dare supporti molecolari a questi dati, in modo tale che analizzando tutto il profilo dell’epigenoma nel tempo saremo in grado di dire che quella donna potrebbe avere un maggiore suscettibilità a sviluppare un tumore all’ovaio o una malattia cardiovascolare o una patologia autoimmune”.

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