
Tra il 2016 ed il 2020, 38 mila miliardi di dollari sono stati destinati a finanziamenti per i combustibili fossili. Nel 2020, nonostante gli accordi di Parigi, che avrebbero dovuto essere un netto spartiacque e segnare un cambiamento di rotta, il volume degli investimenti nei combustibili fossili è stato globalmente più alto di quello del 2016.
È quanto emerge dal Report del Rainforest Action Network, un’organizzazione ambientale californiana fondata nel 1985.
Il Report analizza gli investimenti delle 60 principali banche mondiali e stila una loro classifica sulla base dei finanziamenti dei combustibili fossili.
Al primo posto tra gli Istituti bancari peggiori vede JP Morgan Chase, seguita da Citi, WellsFargo e Bank of America.
Tra i peggiori in Europa troviamo invece Barclays e BNP Paribas che si classica quarta tra i meno virtuosi.
BNP Paribas ha aumentato del 41%, dal 2019 al 2020, gli investimenti nel settore dei combustibili fossili e del 141% rispetto ai dati del 206.
Tra gli Istituti più virtuosi troviamo invece i canadesi: i 5 principali istituti del Paese hanno migliorato moltissimo il loro rating.
Nel suo Report, Rainforest Action Network pone l’accento non solo sul problema delle emissioni, ma anche sulle conseguenze ambientali e sulle comunità locali delle singole iniziative, portando ad esempio case studi che evidenziano i danni a lungo termine sia in termini ecologici che del rispetto dei diritti umani di impianti finanziati anche grazie ai fondi delle grandi banche.
Tutti i maggiori Istituti hanno sottoscritto impegni per la riduzione delle emissioni entro il 2050, ma secondo il Report si tratta di mere promesse senza fondamento.
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“Molte banche si sono presentate ai blocchi di partenza ma poche hanno iniziato a correre” – ha dichiarato Jeanne Martin della ShareAction, presentando l’ultimo report dell’associazione.
Il documento della no profit britannica si focalizza sulle banche europee, nessuna delle quali però si è impegnata a uscire completamente dai finanziamenti ai combustibili fossili.
Solo 3 dei 25 istituti analizzati (Lloyds Banking, NatWest e Nordea Bank) prevedono di dimezzarli entro il 2030.
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Per le banche, il dirottamento dei finanziamenti verso energia pulita, è un problema che va oltre ad un rating ambientale basso.
Come spiega il Report, se non rispettano i propri obiettivi, potrebbero essere abbandonate dagli investitori che, a loro volta, hanno degli impegni ambientali da rispettare.
Per questo, alcuni grandi istituti, come NatWest, intendono chiedere ai destinatari dei propri prestiti dei piani di transizione credibili sulla riduzione delle emissioni.
Altri invece, hanno annunciato che progressivamente abbandoneranno del tutto il settore.
HSBC, ad esempio, pianifica di farlo entro il 2040 mentre Intesa Sanpaolo si è impegnata ad uscire dal settore delle fonti non convenzionali di gas e petrolio, come il fracking e le perforazioni offshore nel Mar Glaciale Artico.