Imballaggi in plastica nei supermercati, uno studio inglese rivela che si potrebbero evitare in più della metà dei prodotti. Tra i paesi analizzati c’è anche l’Italia.
Entrando in un qualsiasi supermercato, sia in Italia che in altri paesi europei, ci si accorge facilmente della quantità di imballaggi in plastica presenti su frutta, verdura, carne e pesce. Gran parte dei prodotti sugli scaffali e nei frigoriferi è avvolta da pellicole, adagiata in vaschette, contenuta in bottiglie.
Ma è necessario tutto questo packaging? Secondo uno studio realizzato da Retail Economics per DS Smith, la metà degli imballaggi di cibo e bevande non serve.
Condotta su 1.500 generi alimentari, l’indagine ha analizzato i materiali delle confezioni in 25 dei supermercati più popolari in sei mercati europei: Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Spagna e Polonia.
Imballaggi in plastica nei prodotti del supermercato, il 51% è inutile
Il Material Change Index, commissionato dalla multinazionale britannica del packaging, ha evidenziato che il 51% degli articoli presenti nei supermercati inglesi è confezionato – inutilmente – nella plastica.
Oltre la metà degli imballaggi, quindi, potrebbe essere rimosso o sostituito con alternative meno inquinanti senza alterare la qualità dei prodotti. Ciò che è stato classificato dallo studio come “non necessario”, infatti, può fare a meno della plastica come packaging, ridurla o sostituirla.
Secondo la ricerca, la maggior parte della plastica da imballaggi che finisce nel carrello proviene da pasti pronti (90%), pane, riso e cereali (89%), latticini (83%), carne e pesce (80%).
Se il Regno Unito è risultato il più dipendente da confezioni e involucri di plastica, con il 70% dei prodotti che le contengono, al secondo posto troviamo la Spagna (67%), seguita da Italia (66%), Germania (66%), Polonia (62%) e Francia (59%).
Tra i motivi che mantengono gli imballaggi in plastica in testa alla classifica nel settore del packaging per alimenti non ci sono solo quelli legati al ciclo produttivo o logistici. I produttori, secondo il sondaggio, temono che un cambiamento nelle confezioni possa renderli meno competitivi a causa del costo delle materie prime (40%) e addirittura allontanare il consumatore (39%), che non accetterebbe il cambiamento.
Siamo di fronte quindi ad un consumatore pigro, che non vuole rinunciare alla praticità, ad un produttore che si nasconde dietro ai maggiori costi di produzione o ad entrambi?
Nell’ambito della ricerca, il 98% di produttori e rivenditori di alimenti ha dichiarato di essere già impegnato nella riduzione del packaging. Di questi, il 60% ha due anni per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità, mentre il 25% ha dichiarato di essere fuori strada.
Imballaggi monouso, tra divieti e alternative
In ogni caso, a cambiare dovrebbe essere il punto di vista rispetto agli imballaggi e, soprattutto, a quelli monouso. La crescente sensibilità verso le tematiche ambientali e le reali necessità di invertire la rotta dell’inquinamento da plastica, hanno portato allo sviluppo di alternative come la vendita di prodotti sfusi o ad un cambiamento negli acquisti da parte dei consumatori. I negozi sfusi sono sempre di più anche in Italia e sono nati proprio per contrastare il monouso.
L’usa e getta inoltre, è stato trattato anche in Ue. A marzo, la Commissione europea ha emanato nuove regole per gli imballaggi, mirate a vietare specialmente quelli che si utilizzano una sola volta.
Oltre a non essere sostenibili, questo tipo di confezioni può risultare nocivo per l’organismo umano. Sono state rilevate molte sostanze potenzialmente pericolose nelle confezioni usa e getta di alimenti e bevande come ftalati, PFAS, pesticidi e metalli pesanti.