I dipendenti di Shein lavorano più di 12 ore al giorno. Il report choc sul colosso del fast fashion

Il lato oscuro del brand di moda Shein rivelato dall’indagine di Public Eye. Ecco come vengono sfruttati i lavoratori. 

“Lavoro tutti i giorni dalle 8 del mattino alle 22.30 di sera e mi prendo un giorno libero ogni mese. Non posso permettermi altri giorni liberi perché costa troppo”. A dirlo è uno dei lavoratori del noto brand di moda Shein, colosso cinese del fast fashion,  intervistato dall’organizzazione svizzera Public Eye per una nuova indagine condotta all’interno degli impianti di produzione dell’azienda situati a ovest del villaggio di Nancun, nell’area di Guangzhou, nel sud della Cina.

Nella prima indagine del 2021 erano già emerse condizioni disumane di lavoro nelle fabbriche fornitrici e l’azienda si era impegnata a introdurre nuove regole per migliorare il benessere degli operai. Public Eye la scorsa estate è tornata a intervistare tredici dipendenti di sei fabbriche che riforniscono Shein per verificare cosa fosse cambiato. Il risultato? Ci sono ancora operai che cuciono vestiti anche per più di dodici ore al giorno, per sei o sette giorni a settimana, e solo un giorno libero al mese.

Shein alla BBC ha replicato che sta “lavorando duro” per affrontare le questioni sollevate dal rapporto Public Eye e che ha fatto “progressi significativi nel miglioramento delle condizioni”.

L’organizzazione racconta che il salario base per i lavoratori, al netto degli straordinari, è di 2.400 yuan, poco più di 300 euro, ma che lavorando fino a dodici ore al giorno si può arrivare anche a 1.200 euro.

L’organizzazione sostiene di aver visto anche bambini in vacanza da scuola tenuti nelle fabbriche e adolescenti di 14-15 anni che confezionavano articoli o che sedevano alle macchine da cucire per apprendere il mestiere dai genitori. I lavoratori raccontano anche di aver notato un aumento delle telecamere di sorveglianza nelle fabbriche, sostenendo che i filmati vengano inviati a Shein in tempo reale probabilmente per controllare la loro produttività.

Secondo Public Eye, inoltre, Shein imporrebbe requisiti severi anche agli altri fornitori di servizi. Ad esempio, i fotografi devono essere in grado di produrre da 70 a 80 scatti in una sessione di otto ore da quattro a cinque volte a settimana, mentre i modellisti devono consegnare più di 20 bozze esclusive al mese e gli addetti al ritocco delle immagini devono ricolorare 90 foto al giorno.

Cosa è il fast fashion, il modello di business seguito da Shein e da altri brand di moda

Shein con i suoi vestiti super economici e alla moda è diventata uno dei più grandi rivenditori di abiti al mondo. Il modello di business adottato dal brand è quello del fast fashion, nato negli anni ’80, che letteralmente significa “moda veloce“. Le aziende hanno iniziato a produrre un numero sempre maggiore di collezioni con l’obiettivo di realizzare prodotti di tendenza e di renderli disponibili al consumatore nel minor tempo possibile e minimizzando i costi.

Il basso costo del prodotto spinge il consumatore ad acquisiti sempre più frequenti, senza pensare a ciò di cui ha realmente bisogno e che dietro a quella t-shirt al costo di 5 euro il vero prezzo è stato pagato dai lavoratori, sfruttati e con bassi salari, come ha dimostrato l’inchiesta di Public Eye, anche a distanza di anni dalla prima indagine.

Oltre Shein sono tanti tra i marchi globali noti per seguire questo modello di business, come H&M, Zara, Temu, Uniqlo, soltanto per citarne alcuni.

Inoltre, l’industria della moda è considerata tra le più impattanti al mondo e i brand low cost contribuiscono producendo annualmente milioni di tonnellate di rifiuti tessili sintetici, difficili da smaltire anche a causa delle sostanze chimiche nocive presenti al loro interno.

In questo nostro speciale spieghiamo quanto inquinano i vestiti che indossiamo.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da TeleAmbiente (@teleambiente)