Il conflitto sta avendo anche un impatto ambientale devastante, e neanche il cessate il fuoco potrà ripristinare la situazione precedente, già di per sé complicata.
Se la vita nella Striscia di Gaza è quanto mai difficile sin dalle ore successive del 7 ottobre scorso, neanche un eventuale cessate il fuoco potrà ripristinare la situazione precedente. Tra le varie conseguenze della guerra, infatti, c’è anche un impatto ambientale senza precedenti, che è destinato a rendere Gaza inabitabile. L’allarme arriva da Greenpeace, che ha puntato l’accento sul disastro ambientale causato dai continui attacchi via terra e dai bombardamenti dell’esercito di Israele.
Greenpeace ha rilanciato e integrato uno studio pubblicato un mese fa sul Social Science Research Network e in esclusiva dal Guardian. Lo studio offre una stima solo parziale, dal momento che si riferisce ai primi quattro mesi di un conflitto che va avanti ormai da otto mesi. A Gaza, nei primi 120 giorni di guerra, sono state emesse oltre 536mila tonnellate di anidride carbonica (CO2), il 90% delle quali attribuibili agli attacchi israeliani. Questa, però, è solo la punta dell’iceberg: l’aria è contaminata da sostanze chimiche provenienti dalle armi, come il fosforo bianco, e le risorse idriche sono gravemente compromesse, con circa 60mila m³ di liquami e acque reflue non trattate che ogni giorno confluiscono nel Mediterraneo. Le infrastrutture come le fognature o gli impianti di trattamento dei rifiuti solidi, tra l’altro, sono state distrutte, e questo fa impennare il rischio di epidemie tra la popolazione.
Lo studio di Greenpeace si riferisce, è bene ricordarlo, esclusivamente all’impatto ambientale del conflitto e non tiene conto, quindi, delle vittime umane e non solo. Il disastro ambientale rischia anche di stroncare l’economia di Gaza, che si basa quasi del tutto sull’agricoltura. I bombardamenti hanno causato il degrado del suolo e distrutto, a maggio 2024, il 57% di fattorie e terreni presenti. Un impatto dannoso si ripercuote anche sulla pesca, dopo 17 anni di blocco e la distruzione del 70% dei pescherecci, e inevitabilmente avrà conseguenze anche sulla sicurezza alimentare della popolazione.
“La guerra in corso a Gaza non ha solo un altissimo costo umano, ma sta anche causando danni ambientali gravissimi nelle zone interessate dal conflitto” – ammonisce Greenpeace – “Ci saranno conseguenze devastanti per l’aria, l’acqua, il suolo e per tutte le persone che vivono in questi luoghi. Gaza rischia di essere inabitabile in futuro“.
Al di là della situazione geopolitica, la guerra a Gaza rischia di aggravare la vulnerabilità del territorio di fronte alla crisi climatica. Sono davvero pochi i luoghi, in tutto il Pianeta, dove le proiezioni stimano che entro il 2100 le temperature potrebbero aumentare di 4°C: Gaza è uno di questi. Secondo il diritto internazionale, Israele dovrebbe sostenere i costi della ricostruzione di Gaza, essendo stato riconosciuto come potenza occupante, ma è una istanza che quasi certamente cadrà nel vuoto.
“La situazione è ormai quasi irreversibile e chiediamo un cessate il fuoco immediato e permanente, oltre all’embargo globale su vendite e trasferimenti di armi. Chiediamo anche la fine dell’occupazione illegale della Palestina, un passaggio costante e sicuro dei camion degli aiuti e l’accesso di investigatori e specialisti ambientali per condurre indagini sul campo” – ha spiegato Sofia Basso, della campagna Pace e Disarmo di Greenpeace Italia – “Nel lungo termine, chiediamo invece il sostegno di donatori internazionali e regionali per lo sviluppo di infrastrutture idriche, valutazioni ambientali complete per il dopoguerra, una ricostruzione sostenibile incentrata sulla mitigazione del clima, politiche di resilienza e sul coinvolgimento della comunità. Inoltre sono necessarie misure per riconoscere la responsabilità di Israele per i danni causati a Gaza in violazione degli obblighi internazionali“.