Le spiagge brindisine sono state invase da piccoli pezzi di plastica grandi come una lenticchia. Si tratta, secondo l’allarme lanciato da Greenpeace, dell’inquinamento prodotto dal petrolchimico di Brindisi
Le spiagge di Brindisi e dintorni sono state invase da piccoli pezzi di plastica grandi come una lenticchia. Si tratta di granuli di plastica prodotti dalla raffinazione di idrocarburi come petrolio e gas naturale.
A dirlo è il report “Inquinamento silenzioso” presentato da Greenpeace Italia dopo una ricerca sulle coste adiacenti all’area conosciuta come “petrolchimico di Brindisi” che ha spinto poi gli attivisti della ong a presentare un esposto in procura.
Greenpeace, dunque, chiede alla magistratura “di investigare sull’inquinamento e verificare se sussistano le condizioni affinché si proceda al sequestro delle attività industriali presenti nell’area specializzate nella produzione di granuli”, spiegano in una nota.
⚪️Avete mai visto dei minuscoli granuli di plastica in spiaggia tra la sabbia? Si tratta dei pellet e sono all’origine di un inquinamento silenzioso dei nostri mari. #breakfreefromplastic https://t.co/4xP7bZnsgT
— Greenpeace Italia (@Greenpeace_ITA) July 1, 2022
Le microplastiche sulle coste pugliesi
Nel report pubblicato da Greenpeace Italia a inizio luglio si legge che la ricerca effettuata lo scorso anno ha visto protagoniste 12 spiagge della Puglia nelle quali sono stati raccolti 7938 granuli di plastica che sono stati poi analizzati in laboratorio.
Il problema era comprendere da dove provenivano. Greenpeace spiega che il 67% dei granuli raccolti “proviene dai tre siti di campionamento più vicini al petrolchimico. Al contrario, nelle aree più distanti i livelli di contaminazione sono risultati, quasi ovunque, nettamente inferiori”.
Non abbastanza per poter affermare con certezza che la provenienza di quei granuli sia il Petrolchimico di Brindisi. Ma abbastanza, comunque, perché si spinga per ulteriori indagini.
A Brindisi, nelle aree limitrofe ad impianti dove Versalis (ENI) e Basell hanno la loro produzione, queste minuscole particelle di plastica contaminano il territorio. Abbiamo presentato un esposto in procura pic.twitter.com/lGh8K4wTFc
— Greenpeace Italia (@Greenpeace_ITA) July 1, 2022
Microplastiche a Brindisi, colpa del Petrolchimico?
Bisognerà aspettare eventuali indagini da parte della magistratura, dunque, per conoscere con certezza la provenienza dei granuli di plastica e quindi per capire chi è responsabile dell’inquinamento. Anche se Greenpeace sembra non avere dubbi.
“Circa il 70 per cento del totale dei granuli – spiegano – è traslucido e trasparente: un’evidenza che la letteratura scientifica collega a rilasci recenti nell’ambiente. Inoltre, di tutti i granuli raccolti, il 78 per cento è in polietilene (un tipo di plastica prodotto in loco dall’azienda Versalis, di proprietà di ENI), mentre poco più del 17 per cento è in polipropilene (un polimero plastico prodotto nell’area da Basell Poliolefine Italia)”.
“I dati che diffondiamo oggi dimostrano che la plastica inquina già dalle prime fasi del suo ciclo di vita”, ha dichiarato Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace. “In un pianeta già soffocato da plastiche e microplastiche, è necessario azzerare tutte le fonti di contaminazione, inclusa la dispersione dei granuli, il cui rilascio nell’ambiente rappresenta un grave pericolo per gli ecosistemi marini ed è riconducibile alla filiera logistico-produttiva delle materie plastiche. Chiediamo alla magistratura di intervenire, e a Versalis e Basell Poliolefine Italia, le due società specializzate nella produzione di granuli nell’area brindisina, di rendere pubbliche le prove in loro possesso che dimostrino la loro estraneità a questo inquinamento”.
Granuli di plastica a Brindisi. Cosa sono esattamente, microplastiche o pellet?
Sebbene i granuli trovati sulle spiagge pugliesi e al centro della denuncia da parte di Greenpeace siano spesso chiamati “microplastiche”, si tratta in realtà di qualcosa di diverso.
Quei granuli, in realtà, rappresentano la “materia prima”, o meglio, il materiale di partenza da cui poi vengono prodotti gli oggetti in plastica.
Insomma, sono i cosiddetti pellet o nurdles, impiegati nei settori del packaging, nel settore automobilistico, in edilizia e in agricoltura.
“Soltanto in Europa – spiega Greenpeace – il loro rilascio nell’ambiente può superare le 167 mila tonnellate annue, pari a circa 265 mila granuli al secondo. Come tutte le microplastiche, entrano nella catena alimentare degli organismi marini, accumulandosi negli animali che si trovano al vertice, esseri umani compresi”.