Un interrogativo importante: non tutte le navi vengono smaltite in modo sicuro, ma nessuno ne parla.

A dieci anni dal tragico naufragio della Costa Concordia, è lecito domandarsi: dove vanno a finire le grandi navi dismesse? La nave distrutta all’isola del Giglio fu rigalleggiata e demolita nel porto di Genova, a pochissima distanza dal cantiere di Sestri Ponente dove fu costruita. Si tratta, però, di un’eccezione positiva. La maggior parte delle grandi navi, costruite in varie parti del mondo, viene infatti dismessa e smaltita in Paesi dove il rispetto delle norme ambientali non è assolutamente garantito.

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Lo spiega bene Roberto Zonca per Tiscali. Nei Paesi più poveri del mondo (come Bangladesh, Pakistan, India, Cina e vari Stati africani) si trovano cantieri e manodopera a bassissimo costo dove è possibile demolire le navi spendendo poco e senza rispettare le normative internazionali. Come denuncia Shipbreaking Platform, ogni anno vengono demolite, in modo irregolare, oltre mille navi che arrivano soprattutto dai Paesi europei (il 40% del totale globale, con in testa Grecia e Germania). Tutto questo nonostante una direttiva Ue del 2013, che impone agli armatori di rottamare le navi in Europa, con alcuni incentivi economici. Per risparmiare sui costi di demolizione, però, le grandi aziende navali preferiscono cedere la proprietà delle navi a società extra-europee (con sedi in ‘paradisi fiscali’ come Liberia, Panama e Togo), che poi inviano le navi verso cantieri di demolizione non regolamentati.

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Emblematico il caso dell’India. Ad Alang, nello stato di Gujarat, si trova il cimitero navale più grande del mondo. Qui vengono demolite centinaia di navi, petroliere comprese. Anche in Bangladesh e Namibia vengono smaltite centinaia di navi, senza rispettare le normative di base e con conseguenze drammatiche sui lavoratori che demoliscono le imbarcazioni, più o meno grandi, esposti a sostanze tossiche e idrocarburi cancerogeni.