Roma. Glifosato è diventato un grido d’allarme globale che sempre più si sta trasformando in una questione politica.
Il Comitato d’appello dell’Unione Europea nella votazione del 27 novembre scorso ha confermato il suo sì al pericoloso pesticida.
Ma a tirare un respiro di sollievo è solo la Monsanto, multinazionale produttrice del glifosato, che ha visto schierarsi inaspettatamente a suo favore la Germania, da sempre astenuta. Anche la Merkel non l’ha presa bene e ha pubblicamente bacchettato il suo ministro dell’Agricoltura Scmidter, per una decisione andata “oltre le linee di governo”.
Il risultato finale ha visto 18 Paesi per il sì e 9 per il no, creando non poche fratture anche diplomatiche. All’Italia, contraria all’erbicida, si sono aggregati Francia, Belgio, Grecia; Ungheria, Cipro, Malta, Lussemburgo e Lettonia, nessuna decisione invece dal Portogallo. Durissimo il presidente francese Macron ha ribadito la sua politica contro il glifosato, dichiarando che il diserbante sarà vietato in Francia entro il 2022.
La decisione Ue non ha fermato la lotta contro un prodotto che l’Organizzazione internazionale per la ricerca sul cancro ha definito in uno studio del 2015 “probabilmente cancerogeno” e che è allo stesso tempo il più diffuso nelle coltivazioni.
La scelta dell’Europa di prolungare le autorizzazioni sul glifosato partono dalla negazione del pericolo da parte dell’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), in uno studio che a sua volta parte dal lavoro fatto dalla Bfr, agenzia per la valutazione del rischio tedesca. E guarda caso, in Germania ha sede la Bayern, principale produttore di glifosato mondiale.
In risposta alle posizioni europee, il programma Report e l’associazione GranoSalus hanno indagato sulle quantità di glifosato presenti nelle principali marche di pasta commercializzate. Lo scopo, incentivare la presa di coscienza nel consumatore, che vuole risposte a un’unica domanda.
“Va bene, ma cosa devo mangiare?”
Nelle analisi fatte da Report (in una delle ultime puntate dopo l’addio della Gabanelli) su 6 campioni considerati, 6 hanno registrato tracce di glifosato. Un risultato un po’ diverso da quanto dichiarato dai responsabili dell’industria italiana, che aveva parlato di “infinitesimali tracce, comunque al di sotto dei limiti per legge, riscontrate solo in uno o due campioni”.
Certo, anche nel caso di Report si parla di numeri sotto la soglia consentita di 10 mg/kg. Inoltre l’EFSA ha dichiarato che il rischio per l’uomo si ha superando gli 0.5 mg/kg di peso corporeo, quindi mediamente se si consuma dai 100 ai 600 kg di pasta al giorno. I dati dovrebbero tranquillizzare.
Ma è davvero così?
Non sembra esserne convinto l’Istituto di ricerca Ramazzini, che in uno studio ha parlato di effetti attuali ormai cambiati rispetto a quelli studiati dieci anni fa.
GranoSalus, insieme a I Vespri, ha analizzato 11 marche di pasta Bio, i cui processi di produzione non prevedono l’uso di pesticidi, diserbanti e concimi chimici, con risultati migliori tranne per il marchio La Finestra sul cielo Bio che usa grano Cappelli e ha registrato 0,027 milligrammi per kg di glifosato. Anche se la stessa varietà di grano si ritrova nelle prime posizioni della classifica, tra i marchi a glifosato 0.
Bocciata al test anche De Cecco Bio, con bassi livelli registrati ma comunque presenti. Ed è un po’ un (allarmante!) paradosso che in un prodotto dichiarato Bio si riscontrino tracce anche minime del pesticida.
Sui risultati Barilla, Divella, Garofalo e Rummo hanno dichiarato di non usare grano canadese, mentre è arrivato l’impegno di De Cecco ad eliminare il glifosato dal suo prodotto entro fine anno, così come la Molisana che ha annunciato “una politica di glifosato zero”.
Cosa c’entra il grano canadese?
La produzione viene fatta quasi totalmente con grano che deriva dal Canada, in un mercato prevalentemente gestito dai grandi traders canadesi. Nessuna authority sul lato export e import ha obblighi di controllo sulle quantità di glifosato. Authority che hanno nella governance, paradossalmente, tutti i managers che hanno lavorato proprio per quei grandi traders che guadagnano dagli scambi.
Così il grano arriva a destinazione, nei Paesi come l’Italia, generalmente via nave e nel porto di Bari, sprovvisto di sistemi di analisi e controllo del prodotto, e finisce nei processi produttivi. Gli agricoltori italiani invece vengono pagati con fondi pubblici in base agli ettari di terreno che non usano per la coltivazione di grano. Ecco quindi lo scandaloso paradosso di una produzione che diventa sconveniente per l’agricoltore nazionale che di ricava di più dal non produrre e che quindi favorisce, anzi inventiva, l’acquisto di materia prima dall’estero (in tal caso, dal Canada) che può sfruttare tecniche e sostanze altrimenti illegali. Mentre è evidente che il grano al glifosato, di minore qualità, costa molto meno.
“Il sistema è paradossale – ha dichiarato il presidente di coldiretti Roberto Moncalvo – gli agricoltori italiani di grano duro in un anno hanno perso 700 milioni di euro e senza che il consumatore se ne possa accorgere perchè il prezzo della pasta non è cambiato, e nel mezzo qualcuno guadagna su questa perdita”.
Insomma, un vero e proprio scandalo ai danni del consumatore che se prima e sembrava impattare solo sulla salute, ormai attacca ogni settore da quello ambientale, all’economia, fino alla politica.
E Teleambiente su questo terrà alta vigilanza e la controinformazione. E la politica italiana invece cosa fa?