A 14 anni dal disastro nucleare di Fukushima, il Giappone ricorda le vittime dell’incidente causato dal terremoto e dallo tsunami l’11 marzo 2011.
L’11 marzo 2011 alle 14:46 un terremoto di magnitudo 8.9 – tra i più intensi mai registrati sulla Terra – colpisce la costa nella regione di Tohoku, nel nord ovest del Giappone. A meno di un’ora dal sisma, uno tsunami si abbatte sulle coste del Paese. L’onda alta circa 15 metri causerà oltre 20.000 morti e il danneggiamento della centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi.
Insieme a quello di Chernobyl del 26 aprile 1986, l’incidente nucleare di Fukushima è l’unico a essere stato classificato “livello 7” della scala INES, il grado massimo di gravità.
A quattordici anni dal disastro, il Giappone commemora le esplosioni della centrale nucleare che ha causato almeno 51 vittime e circa 164.000 sfollati tra i residenti dell’area circostante, evacuata entro un raggio di 20 km. Il Paese ha osservato un minuto di silenzio e preghiera per le vittime nell’orario esatto della scossa di terremoto, avvenuta alle 14:46 (le 6:46 italiane). Il primo ministro Shigeru Ishiba ha partecipato a una cerimonia commemorativa organizzata proprio dalla prefettura di Fukushima, che tuttora soffre delle ricadute ambientali del disastro nucleare.
L’anniversario cade in un momento sfortunato per il Giappone, alle prese con il grave incendio scoppiato a fine febbraio nel versante nord orientale dell’isola, nella prefettura di Iwate, che ha costretto all’evacuazione migliaia di persone.
Gli sfollati si aggiungono a quelli del disastro nucleare che, a distanza di tanti anni, sono ancora 28.000 e concentrati specialmente nelle prefetture di Iwate e Miyagi, le più colpite insieme a quella di Fukushima. Lì, nonostante ci siano stati progressi nel recupero delle aree contaminate, ci sono ancora 7 comuni che rimangono off-limits a causa delle radiazioni.
Ancora oggi, l’accesso ad alcune zone vicine all’impianto danneggiato è limitato e i residenti che non hanno accesso alle loro case sono oltre 24.000.
Le operazioni di bonifica, intanto, continuano e nel 2021 il governo di Tokyo e TEPCO, la società che gestisce l’impianto, aveva annunciato il piano per il trattamento e il rilascio in mare delle acque radioattive dell’impianto. Le operazioni, iniziate poi nell’estate del 2023, hanno suscitato polemiche sia tra le comunità locali che tra i Paesi vicini, tra cui Cina e Corea del Sud.
Il governo di Tokyo ha fissato un limite tra i 30 e i 40 anni per completare la bonifica, che dovrebbe avvenire entro il 2051, ma visti i ritardi già accumulati gli esperti hanno espresso dubbi sulla fattibilità entro i tempi stabiliti. Nel corso delle operazioni, inoltre, si è verificata anche una fuoriuscita, nel febbraio 2024, di circa 5,5 tonnellate di acqua radioattiva non trattata dall’impianto.
Una perdita che, stando all’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AEIA), non avrebbe comportato nessun rischio per l’ambiente. Nel settembre 2024 TEPCO ha annunciato i test per rimuovere le 880 tonnellate di detriti altamente radioattivi dalla centrale, principale ostacolo per la decontaminazione e lo smantellamento della struttura. Ma il percorso della bonifica è ancora lungo.
Fukushima, l’incidente del 2011
La centrale nucleare situata nella prefettura di Fukushima comprendeva sei reattori costruiti negli anni ’70 e gestiti dalla Tokyo Electric Power Company (TEPCO).
Al momento della scossa di terremoto dell’11 marzo 2011, i reattori 1, 2 e 3, che erano attivi in quella fase, hanno interrotto automaticamente le reazioni di fissione in corso con la procedura di spegnimento istantaneo (SCRAM). Lo spegnimento dei reattori fece mancare anche l’elettricità necessaria ai sistemi di raffreddamento, che continuarono a funzionare grazie ai generatori di emergenza diesel-elettrici. Dopo poche decine di minuti, però, lo tsunami colpì la centrale, distruggendo i generatori dei reattori dall’1 al 5.
I sistemi di raffreddamento, inondati dall’acqua, smisero di funzionare causando la fusione dei nuclei 1, 2 e 3 dell’impianto nei primi tre giorni, una serie di esplosioni e l’emissione di grandi quantità di radiazioni nei giorni successivi. Il governo, per gestire l’emergenza, istituì una no-fly zone di 30 km intorno alla centrale nucleare e ordinò l’evacuazione nel raggio di 20 km.